Gino Strada sta facendo le valigie, domani sera prende un aereo e torna a Milano. La sua missione di pace in Iraq per la liberazione dei tre ostaggi
italiani non è finita ma Emergency ha valutato che era opportuno adesso “ritirarsi”.
«Abbiamo trattato a lungo – risponde Carlo Garbagnati da Milano, vicepresidente di Emergency -, già alcuni giorni fa i nostri interlocutori di fronte a una domanda più diretta se ritenevano o no di liberare gli ostaggi ci avevano dato una risposta affermativa. Ma solo ieri (lunedì, ndr) il contatto è stato per così dire più frontale e la risposta è stata ancora più decisa: assolutamente sì. La sensazione nostra è che a questo punto siano anche intenzionati a sbarazzarsene perchè tenerli è diventato pesante per loro. Ma abbiamo maturato il dubbio che avessero difficoltà a farlo con noi in zona. Insomma, che avessero timore che intercettando i nostri movimenti potessero essere individuati. Allora, per facilitare il rilascio abbiamo pensato di abbandonare la zona».
E quando li rilascerebbero secondo quello che avete potuto capire?
«Su questo, appunto, l’indeterminazione è assoluta».
Ma voi siete sicuri di aver trattato con interlocutori credibili?
«All’inizio il primo contatto è stato con Jabal al Kubaisi ad Amman, il quale ci ha fatto da intermediario con Ibrahim al Kubaisi e da lui siamo arrivati ad altre persone e ad altre ancora. È stata una lunga marcia di avvicinamento, con difficoltà crescenti. Abbiamo avuto paura che siinterrompessero i contatti negli ultimi giorni con ciò che stava succedendo a Nassiriya, le continue dichiarazioni sul fatto che non si intende ritirare il contingente militare italiano. E poi in Iraq su tutte le tv e i giornali non si vedeva altro che le immagini delle torture…Ciò che ci fa sperare di aver trovato contatti affidabili – lo abbiamo detto anche alle famiglie degli ostaggi – è che noi non avevamo niente da dare in cambio, nessun riscatto, niente. E le persone con cui parlavamo erano diverse».
Come avvenivano questi contatti?
«Ti facevano sapere dove dovevi trovarti, lì o là, posti come bar, angoli di strada. Qualcuno che trovavamo nel luogo indicato parlava del più e del meno e poi ad un tratto la conversazione cambiava. Un po’ come nei film, evidentemente li hanno visti anche loro…A tutti spiegavamo chi eravamo, che in Italia facciamo parte di un movimento che si oppone alla guerra, un movimento molto forte che in qualche modo apprezzava di essere riconosciuto come interlocutore non governativo».
Adesso cosa succede? lasciate il campo a interlocutori governativi, non so.
Loro hanno il modo comunque di contattarvi?
«Sanno come trovarci, tra l’altro hanno i nostri telefoni e anche modi più riservati di mettersi in contatto con noi. Non ci sembra il caso di coinvolgere soggetti non graditi, non credo proprio che sarebbe utile. Voglio anche dire chiaramente che non ci piace di fare i primi della classe, non vogliamo clamore, non è il nostro modo. Abbiamo fatto il comunicato solo perchè ci sembrava utile».
Avete avvisato le famiglie?
«Sì, prima del comunicato abbiamo chiamato le famiglie, spiegando che non dovevano pensare che ce ne andavamo lasciando cadere le braccia ma per il motivo contrario. Perchè, nell’ipotesi che sia vero, abbiamo avuto informazioni sul fatto che gli ostaggi stanno bene, sono stati informati del nostro tentativo e saranno liberati anche se non sappiamo quando né come».