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Scritto da Rinascita   
Mercoledì 12 Maggio 2004 01:00

La casta dei magistrati non vuole perdere una briciola del suo potere. E sciopera

Dopo lunga gravidanza, la commissione Giustizia della Camera ha approvato quel topolino che viene dichiarato “riforma del­l’ordinamento giudiziario”. Il testo, che ha raccolto il voto contrario del centrosinistra, è atteso in aula per lunedì prossimo, quando comincerà la discussione generale.

Il ddl, che ha già ottenuto un primo via libera dal Senato, contiene le norme per “la riforma dell’ordinamento giudiziario, il decentramento del ministero della Giustizia, la modifica della disciplina di accesso alle funzioni presso organi di giurisdizione supe­riore amministrativa, la modifica della disci­plina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti e il Consiglio di presi­denza della giustizia amministrativa, nonché l’emanazione di un testo unico”.

La nuova norma quadro non è un gran­ché. Annacquata da tutte le parti è stata resa digeribile in mesi e mesi di negoziati e com­promessi sottobanco tra maggioranza parla­mentare e di governo e opposizione “togata”.

­Ma l’indipendenza e la sovranità del potere legislativo, del Parlamento, si sa, non è bene accetta dalla casta dei magistrati, arroccata da sempre nella difesa più strenua dei suoi privilegi di carriera e di remunera­zione. E, con tanti saluti a Montesquieu, il “sindacato” dei giudici, l’Associazione nazionale magistrati presieduta da Edmondo Bruti Liberati, ha già dato fuoco alle polveri immaginando tre giorni di sciopero della lobby contro la legge che sta per essere emanata.

E dire che proprio per evitare tali eventualità, i costituenti del 1948, avevano ben distinto tra due poteri (esecutivo e legislati­vo) ed un “ordine” giudiziario: proprio per marcare le diffe­renze di potere dei tre organi istituzionali a prescindere dalla pro­pria indipendenza. La magistratura italiana dovrebbe essere ben consapevole dei pote­ri-doveri che derivano dal richiamato princi­pio costituzionale, ma non è purtroppo prov­vista né di alcuna moderazione, né del necessario buonsenso, né di un pizzico di retta umiltà, quando qualcosa minaccia di turbare l’intaccabile dominio dell’ordine giudiziario.

Ma ormai non c’è più Stato né ordine sociale, in Italia. E la ragione della forza, dell’arroganza, sembra ovunque prevalere ­sulla forza della ragione.

 

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