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Conflitti
Frattini su Iraq a Radio Capital PDF Stampa E-mail
Scritto da Noreporter.org   
Venerdì 23 Aprile 2004 01:00

La missione militare italiana in Iraq è stata presentata così il 15 aprile 2003 dal nostro ministro degli esteri Franco Frattini.

«Quella dell'Iraq è una missione che ha scopo emergenziale e umanitario».
E infatti il governo italiano finanzia un ospedale della Croce Rossa a Bagdad e invia ben 27 carabinieri per difenderlo...... poi già che c'è invia altri 3000 militari a Nassiriya.
Ecco le cifre: l'ospedale a Bagdad costa...21 milioni 554 mila euro.
Il nostro contingente a Nassiriya costa...232 milioni e 451 mila euro.
La domanda è: ma perché il nostro intervento umanitario in senso stretto è a Bagdad e invece i nostri soldati e le nostre risorse stanno a Nassiriya? Che c'è lì di così tanto umanitario?
Il 22 ottobre 2003 i parlamentari italiani della commissione difesa vanno a Nassiriya. Elettra Deiana, deputata di Rifondazione Comunista, faceva parte della delegazione e ha ascoltato uno strano discorso. «Abbiamo incontrato l'ambasciatore presso il governo provvisorio di Bagdad Antonio Armellini, il quale ci ha detto che vi sono degli interessi italiani in gioco in questa vicenda».
Interessi in gioco!
«Di conseguenza il calcolo è che i benefici saranno all'altezza dell'impegno militare»
Benefici in cambio dell'impegno militare!
Ora in Iraq in generale e a Nassiriya in particolare ci sono importanti giacimenti di...benefici. Ne sa qualcosa Benito Li Vigni, un'ex dirigente dell'Eni. «Il governo iracheno accordò all'Eni lo sfruttamento di un giacimento sul territorio di Nassiriya, nel sud del Paese, con 2,5 / 3 miliardi di barili di riserve, un giacimento quinto per importanza tra i nuovi che l'Iraq voleva avviare a produzione. Nel suo territorio c'è una grande raffineria ed un grande oleodotto».
Guarda un po', l'Eni aveva contratti petroliferi con l'Iraq che riguardavano i pozzi proprio di Nassiriya! Che coincidenza! Ancora Li Vigni. «I contratti che regolavano i rapporti tra la parte pubblica e quella privata delle compagnie concessionarie, seguivano una formula che nel settore era considerata la più vantaggiosa di tutte, che di solito i Paesi produttori mediorientali fanno di tutto per evitare. E' un contratto che consente di considerare come propria riserva una quota della produzione. Di fatto la riserva accertata tra 2,5 e 3 miliardi di barili poteva essere iscritta in bilancio Eni».
Contratti vantaggiosi. Un peccato rinunciarvi! In parlamento la senatrice Tana De Zulueta, del gruppo Occhetto - Di Pietro, ha presentato un'interrogazione proprio su questa vicenda.
«Il fatto è che quando i soldati italiani sono arrivati a Nassiryia, la loro prima base militare era ubicata proprio di fronte alla raffineria che consentirebbe all'Eni di poter raffinare proprio lì il petrolio estratto. Altra condizione che si aggiunge a un contratto che in sé era estremamente vantaggioso. Dico "era" perché quel contratto è in forse, nel senso che l'occupazione dell'Iraq e la caduta di Saddam Hussein hanno fatto sì che le tre grandi concessioni siano congelate. Noi abbiamo chiesto al governo se la scelta di mandare i nostri militari in Iraq fosse motivata da un desiderio di tutelare quella concessione, di garantircela per il futuro».
E noi ci siamo procurati la risposta del governo all'interrogazione della parlamentare.
«La nostra presenza in Iraq è frutto di prioritarie considerazioni di carattere politico e umanitario». Prioritarie considerazioni di carattere politico e umanitario. «La scelta di dislocare un contingente a Nassiriya non è stata in alcun modo legata agli interessi dell'Eni»
Ah, no?
«Le bozze di accordo per lo sfruttamento dei campi petroliferi a Nassiriya tra Eni e le autorità competenti irachene non sono mai state perfezionate attraverso la firma di un testo vincolante». E intanto il governo ammette gli accordi.
Il 23 febbraio 2003, un mese prima dell'inv
 
Awni al-Kalemji:"La nostra è una resistenza legittima" PDF Stampa E-mail
Scritto da da iraqlibero.net   
Giovedì 22 Aprile 2004 01:00

Intervista al sedicente portavoce in Europa della resistenza irachena

L'intervista che segue è stata realizzata a Roma di sabato 13 dicembre a margine di una visita di Awni al-Kalemji nella Capitale. L'indomani, domenica 14, arrivava dall'Iraq la notizia della cattura dell'ex-presidente iracheno Saddam Husayn.

Signor Kalemji, quando e dove è nato? Sono nato a Baghdad, in Iraq, nel 1941.

E oggi dove vive? Vivo in Danimarca.

Perché non vive in Iraq? Sono andato via dal mio paese nel 1971, all’età di trent’anni, in seguito ad una delle epurazioni del nuovo corso di Saddam Husayn [arrivato al potere nel 1969, n.d.r.].

Prima di lasciare l’Iraq che attività svolgeva nel suo paese? Ero un ufficiale dell’esercito.

E’ andato direttamente in Danimarca dopo aver abbandonato l’Iraq? No, come molti esuli iracheni, sono fuggito in Siria. Sono rimasto a Damasco per diciassette anni, fino al 1988.

E poi cosa è successo? E’ successo che l’atteggiamento di Damasco è cambiato: durante la prima fase della guerra Iran-Iraq la Siria aveva mantenuto un atteggiamento molto vicino a quello di Tehran, paese invaso dalle truppe irachene. Quando, successivamente, l’esercito iraniano occupò alcuni territori del mio paese, io con altri miei colleghi iracheni, ci aspettavamo che Damasco si opponesse in qualche modo alla violazione della sovranità dell’Iraq. Ma così non fu e allora decidemmo di salutare il governo siriano e di andarcene in Europa.

Veniamo ad oggi. Dalla Danimarca all’Italia passando per la Germania, in queste settimane lei è in giro nel Vecchio continente in veste di “rappresentante della resistenza irachena in Europa”. Cosa significa? Io sono il portavoce ufficiale in Europa della Coalizione patriottica irachena [al-Tahaluf al-Watani al-‘Iraqi, n.d.r.], movimento politico costituito nel 1992, subito dopo la Seconda Guerra del Golfo [la “Prima” è considerata la guerra Iran-Iraq conclusasi nel 1988, n.d.t.].

 
M.O. Mubarak: Mai come ora arabi hanno odiato gli Stati Uniti PDF Stampa E-mail
Scritto da AGI-Reuters   
Mercoledì 21 Aprile 2004 01:00

Lo ha affermato il presidente egiziano Hosni Mubarak in un'intervista a 'Le Monde', a margine dei colloqui avuti ieri a Parigi con il presidente francese Jacques Chirac.

(AGI/REUTERS) - Parigi, 20 apr. - Mai come adesso gli arabi in Medio Oriente hanno odiato gli Stati Uniti. La ragione di questo sentimento di ostilita', ha spiegato Mubarak, sta nelle recenti decisioni della Casa Bianca: l'invasione dell'Iraq e l'incondizionato sostegno alle scelte di Israele, anche le piu'estreme, come l'eliminazione fisica dei due capi storici di Hamas, il movimento palestinese di resistenza all'occupazione dei territori.

"Oggi nella regione vi e' un odio verso gli americani come mai in passato", ha detto il leader moderato. "In altri tempi alcuni hanno creduto che gli americani fossero d'aiuto. Non c'era tutto quest'odio. Dopo quanto accaduto in Iraq le cosesono cambiate. Vi e' un odio senza precedenti e gli americanilo sanno", ha aggiunto il presidente. "La gente prova un sensodi ingiustizia. E, come se non bastasse, vede (il premier israeliano Ariel) Sharon comportarsi come piu' gli aggrada,senza che gli americani gli dicano mai niente. Fa uccidere la gente che non ha gli aerei e gli elicotteri che ha lui", ha proseguito Mubarak riferendosi agli attacchi missilistici con cui sono stati uccisi, a distanza di un mese l'uno dall'altro, i capi di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi. "La disperazione e il senso di ingiustizia non saranno circoscritti alla nostra regione. Gli interessi americani e israeliani non saranno piu' al sicuro, non soltanto nella nostra regione, ma in qualsiasi parte del mondo", ha assicurato il presidente. (AGI)

 
Iraq:iracheno picchiato a morte da soldati USA PDF Stampa E-mail
Scritto da ANSA   
Mercoledì 21 Aprile 2004 01:00

Un iracheno è deceduto dopo essere stato picchiato a morte da soldati americani con il manganello

(ANSA) - KUT (IRAQ), 14 APR - Un iracheno è deceduto dopo essere stato picchiato a morte da soldati americani con il manganello. L'uomo si era rifiutato rifiutato di togliere dalla sua auto una fotografia del leader radicale sciita Moqtada al Sadr.Lo rende noto la polizia irachena secondo la quale l'uomo era stato arrestato ieri sera dai soldati USA che conducevano operazioni di ricerca in una strada del centro di Kut (180 km a sud est di Baghdad).

 
Uranio impoverito: un crimine di guerra che non ha mai fine PDF Stampa E-mail
Scritto da Paul Rockwell   
Martedì 20 Aprile 2004 01:00

Chi ha detto che in Iraq non vi sono armi di distruzione di massa? Il terreno, l'aria, i polmoni della gente ne sono pieni: e' l'uranio impoverito

L'arma di distruzione di massa che ha avvelenato il territorioiracheno e ne ha decimato la popolazione. Resta attivo per milioni di anni, condanna a morte orribile chi lo inala o lo ingerisce, causa deformazioni ai nascituri e danni irreversibili a chi ne viene in contatto. Gli USA lo hanno riversato in Iraq con un accanimento che ha dell'incredibile: un crimine di guerra che grida giustizia. I dispacci internazionali sull'invasione ed occupazione USA dell'Iraq - pieni di dettagli grafici sugli ospedali sovraffollati, schegge di bombe a frammentazione seppellite nella carne dei bambini, neonati deformati dall'uranio impoverito, mercati e fattorie distrutte dai missili americani - non sono di facile lettura. Le prove sempre più evidenti che giungono dall'Iraq occupato stabiliscono ciò che molti americani vorrebbero non sapere: e cioè che le più alte cariche del loro governo hanno violato molti accordi internazionali relativi alle regole di guerra. Se non riterremo l'amministrazione Bush responsabile di crimini di guerra - e le prove sono schiaccianti - tradiremo la nostra coscienza, il nostro paese e la nostra fede nella democrazia. Gli Stati Uniti sono firmatari di numerose leggi di guerra internazionali: le Convenzioni dell'Aja del 1889 e del 1907, le Convenzioni di Ginevra del 1949 e quelle di Norimberga, adottate dalle Nazioni Unite l'11 dicembre 1945 - tutte leggi che stabiliscono i limiti che, per consenso comune, i popoli decenti non dovrebbero oltrepassare. Secondo la Costituzione, tutti i trattati sono parte della legge suprema della terra. La legge umanitaria si basa su un semplice principio: che i diritti umani siano misurati secondo un unico parametro. Senza questo principio, la giurisprudenza sarebbe mera pietà ed esercizio del potere. Né le violazioni delle leggi di guerra da parte di uno dei belligeranti giustificano i crimini di guerra dell'altro. Di tutte le violazioni delle leggi di guerra commesse dalle più alte cariche del nostro stato, nessuna e' più allarmante dell'uso massiccio e premeditato dell'uranio impoverito in Iraq. Undici miglia a nord della frontiera con il Kuwait, nell' "Autostrada della Morte", carri armati distrutti, jeep militari inagibili, veicoli pubblici sventrati - lamiere contorte residui di "Tempesta nel Deserto" - continuano ad irradiare energia nucleare. I militari americani che hanno vissuto in quell'area tossica per tre mesi

soffrono di affaticamento, dolori muscolari ed articolari, disturbi

respiratori - una quantità di sintomi conosciuta con il nome di Sindrome del

Golfo. Quando il presidente Bush ed il Pentagono autorizzarono l'uso

dell'uranio impoverito per la campagna "Colpisci e terrorizza" del marzo

2003, non solo commisero un crimine di guerra contro il popolo dell'Iraq, ma mostrarono anche criminale disprezzo verso la salute delle truppe americane. L'articolo 23 della IV Convenzione di Ginevra e' chiaro e preciso: "E' proibito impiegare veleni o armi venefiche per uccidere slealmente individui appartenenti al paese o all'esercito nemico o utilizzare armi, proiettili e materiale studiato per causare sofferenze non necessarie". Il Protocollo di Ginevra del 1925 proibisce esplicitamente "gas velenosi o asfissianti, e tutti i liquidi analoghi, materiali e dispositivi". La radioattività prodotta dall'uranio impoverito in battaglia e' un materiale velenoso, carcinogenico, che causa difetti genetici, malattie polmonari e renali, leucemia, cancro al seno, linfoma, tumori ossei e disabilità neurologiche. L'uranio impoverito e' molto più denso del piombo e permette alle armi USA di penetrare l'acciaio, un vantaggio enorme nella guerra moderna. Ma, secondo le Convenzioni di Ginevra, "i mezzi per causare ferite al nemico non sono illimitati". Quando le munizioni all'uranio impoverito esplodono, l'aria viene inondata di polvere fine e radioattiva che, trasportata dal vento, viene facilmente inalata e si deposita poi nel suol

 
Tra gli irriducibili dei «campi» di Guantanamo PDF Stampa E-mail
Scritto da Le Monde   
Martedì 20 Aprile 2004 01:00

L’esercito statunitense svela meccanismi e sistemi d’interrogatorio per dimostrare che sono false le accuse di tortura ai sospetti terroristi «Usiamo solo mezzi di persuasione: premiamo chi collabora con noi».

Nel nome della guerra al terrorismo gli Stati Uniti tengono prigioniere senza processo oltre 600 persone a Guantanamo. A intervalli regolari il Pentagono organizza dei «media tour». Prima della partenza i giornalisti s’impegnano per iscritto a non cercare di comunicare con i prigionieri. Ogni sera un militare ispeziona le foto.I volti dei detenuti sono oscurati, in obbedienza alle convenzioni di Ginevra, così come tutto ciò che potrebbe nuocere all’immagine dell’esercito. La visita guidata dal 16 al 19 marzo ha acquistato un significato particolare.Accusato di maltrattare i prigionieri l’esercito americano ha mostrato qualche scena di vita a Campo Delta. Per la prima volta la stampa ha potuto vedere dove si svolgono gli interrogatori. I militari hanno aperto anche la sala del tribunale dove si svolgeranno i processi ai «nemici combattenti».Le udienze cominceranno fra molti mesi ma, nella terra di nessuno giuridica che è Guantanamo, i responsabili americani vengono messi sotto pressione perché dimostrino che una qualche giustizia, sia pure militare, è in cantiere. Il comandante del campo, il generale maggiore Geoffrey Miller, ha presentato di persona il lavoro svolto. Guantanamo è «un laboratorio della guerra contro il terrorismo, -ha spiegato- la detenzione qui è umana e noi ne siamo fieri». È stata la sua ultima conferenza stampa.Dopo 18 mesi a Cuba, il 22 marzo è stato assegnato all’Iraq. Anche là si occuperà di detenuti. «Gli Stati Uniti -ha assicurato- non torturano mai nessuno. Autorizziamo certe tecniche d’interrogatorio ma mai quelle che impiegano la forza». All’ingresso il tenente colonnello Pamela Hart ha allestito una proiezione di slide di presentazione. Guantanamo: 610 «nemici combattenti», 2.162 soldati. Tra 250 e 300 interrogatori al giorno. Non si può registrare -avverte- ma si possono riportare frasi. Guantanamo non è proprio una baia completa: dall’aeroporto alla base bisogna prendere un traghetto.Gli Stati Uniti mantengono quest’enclave a Cuba dal 1903, fra molte contestazioni. Anche l’eventuale scomparsa di Fidel Castro, secondo il comandante della base navale, Les Mc Coy, non porterebbe alcun cambiamento: «La terremo fino a quando durerà la guerra contro il terrorismo». La base oggi è piena di cantieri. Delta I, Delta II, Delta III, campo 4, campo 5, campo Echo... Dopo l’apertura, nel gennaio 2002, Guantanamo ha conosciuto una sorta di boom edilizio. Il campo 5 non è ancora finito. Sarà il fiore all’occhiello: «il modo più innovativo di condurre interrogatori in isolamento», recita la slide esplicativa, completamente informatizzato. «Si potranno condurre anche quattro interrogatori per volta. E senza nemmeno un foglio di carta».Da gennaio il Pentagono è diventato impaziente. Bisogna accelerare le liberazioni. In loco i militari vorrebbero essere certi che i detenuti hanno rivelato tutti i loro segreti. In due anni 119 prigionieri sono stati liberati e altri 12 sono stati trasferiti nei Paesi d’origine (4 sauditi, 1 spagnolo, 7 russi). Il campo 5 deve svilupparsi, bisogna «aumentare la mano d’opera del 50%». Stavolta niente prefabbricati. La gettata per il pavimento può «durare 50 anni». I primi condannati probabilmente sconteranno qui la pena. Miller ha tutte le intenzioni di dotarlo anche di una stanza per le esecuzioni capitali. I detenuti sono originari di 42 diversi Paesi. Solo 6 erano ricercati. Gli ultimi sono arrivati nel novembre 2003. I militari continuano a ripetere che nessuno si trova lì per caso e che si tratta di membri di al Qaeda che lavoravano alla preparazione di attentati. «Oltre cinquanta fra loro non hanno alcuno scrupolo a spiegare che lottano per il jihad e che, se saranno liberati, torneranno immediatamente a combattere», dice Steve Rodriguez, il responsabile del campo, d’origine cubana.Persino l’età dei prigionieri è tenuta nascosta. Per far vedere che tra loro non ci sono minori, l’esercito non lesina mezzi. Si utilizzano radiografie del polso e analisi della dens

 
Bolivia. Stragi nel silenzio PDF Stampa E-mail
Scritto da www.alternativa-antagonista.com   
Martedì 20 Aprile 2004 01:00

146 morti, 77 dal 10 al 17 di ottobre, più di 400 feriti, La Paz e El Alto epicentri degli scontri con le forze dell’ordine. Questo il bilancio dei conflitti sociali avvenuti negli scorsi mesi in Bolivia.

Una situazione esplosiva che si è protatta per tutti i 14 mesi di governo di Gonzalo Sanchez de Losada.

Ma cosa è realmente accaduto in quella nazione?

Leggiamo una recente dichiarazione del Dipartimento di Stato USA, che loda "l’impegno di Sanchez de Losada verso la democrazia e il benessere del suo Paese"… aggiungiamoci che l’ex presidente si è rifugiato, "casualmente", negli Stati Uniti… ricordiamo le situazioni analoghe esistenti in altri stati dell’America Latina, come il Venezuela, il Perù, il Messico, l’Argentina, il Brasile… gli ingredienti sembrano esservi tutti per dire che ciò che è accaduto in Bolivia sia l’ennesima rivolta di popolo contro un governo filo-americano, sostenuto da poteri forti e Grande Capitale,
tendente a svendere le ricchezze nazionali a multinazionali, impoverendo la popolazione locale, rapinandola. In effetti anche qui, come in altre analoghe rivolte, a ribellarsi al potere centrale sono stati movimenti sociali, indios, campesinos, sindacalisti, piccoli produttori e minatori…
Guardando i fatti, vediamo che i primi violenti e mortali scontri accaddero quando Sanchez de Losada tentò di imporre una nuova tassa sui salari dei lavoratori; ma a scatenare le proteste più feroci da parte della popolazione è stata la questione dell’esportazione del gas: questa è, infatti, una delle maggiori ricchezze naturali della Bolivia, ma la legge vigente sugli idrocarburi stabilisce che le compagnie petrolifere internazionali operanti nel Paese paghino allo Stato royalties solamente del 18% sul ricavato (quando invece l’opposizione chiede che l’imposta salga al 50%). Inutile dire su chi gravi questa situazione di svendita delle risorse nazionali e chi tragga giovamento…

Da ciò la cacciata del presidente boliviano, la sua fuga a Miami, la sostituzione con l’ex vice-presidente Carlos Mesa Gisbert, la creazione di un governo di transizione per convocare nuove elezioni e l’Assemblea costituente, nonché indire un referendum vincolante sull’esportazione del gas e riformare la legge sugli idrocarburi. Il tutto con una parvenza di tregua, dove però la protesta è pronta a riesplodere, soprattutto per mano dei contadini indigeni dell’etnia Aimara.

Una battaglia, quindi, al nemico centrale neoliberista, come peraltro ufficializzato da tutte le realtà scese in campo contro il governo de Losada. Ecco il perchè, dunque, gli Stati Uniti eran prontamente corsi in aiuto dell’ex presidente de Losada; ma non era il presidente George W. Bush a benedire le proteste studentesche in Iran perché, a suo dir, il popolo ha sempre ragione???

Questa la situazione in Bolivia. Secondo voi, idealmente con chi ci schieriamo noi? Una nostra risposta ci sembra scontata…

 
Iraq: Truppe Usa, media suicidi altissima PDF Stampa E-mail
Scritto da Agi   
Lunedì 19 Aprile 2004 01:00

Lo rivela uno studio compiuto proprio dall'esercito statunitense: secondo la ricerca, il morale basso e' correlato al fatto che i soldati non hanno alcuna certezza su quanto a lungo rimarranno in Iraq

C'e' un altro subdolo avversario, oltre alla guerriglia, che mette a rischio la vita dei soldati statunitensi in Iraq: la depressione. Tristezza e morale sotto i piedi attanagliano quasi tre quarti dei soldati, tra i quali la media dei suicidi rimane altissima, decisamente piu' alta che nel resto dell'esercito Usa.
Lo rivela uno studio compiuto proprio dall'esercito statunitense: secondo la ricerca, il morale basso e' correlato al fatto che i soldati non hanno alcuna certezza su quanto a lungo rimarranno in Iraq e sul fatto che i turni di servizio sono molto piu' lunghi di quello che si attendessero.
Lo studio, il primo del genere in una zona di combattimento, fu ordinato da un ufficiale medico
dell'esercito, a luglio, dopo una raffica di cinque suicidi successivi. Lo scorso anno la media di suicidi e' stata di 17,3 ogni 100.000 soldati, rispetto a una media nell'esercito di 12,8 ogni 100.000. L'altissimo tasso di suicidi e' comunque piu' basso della media registrata nella popolazione statunitense, tra i giovani tra i 10 e i 34 anni, che e' di 21,5 ogni 100.000. (AGI)

 
Incubo nero Sudafricano PDF Stampa E-mail
Scritto da M.Zambelli-Rinascita   
Lunedì 19 Aprile 2004 01:00

Caos.Viaggio nell'era del dopo Apartheid.

Dopo la fine dell’apartheid il Sudafrica è divenuto una sorta d’icona mondialista sbandierata a destra e a sinistra al fine di puntellare le crepe del nuovo ordine globale. In realtà, dall’inizio della democrazia cosmopolita la situazione in Sudafrica è andata via via peggiorando col passare dei mesi e delle settimane…

Altro che paese dell’arcobaleno della pacifica e proficua convivenza delle etnie. Si tratta di una falsificazione della realtà che sfiora i limiti della paranoia. Eppure i media europei e americani hanno continuato ad alimentare il falso mito della multirazzialità, nonché laboratorio eccellente del mescolazionismo.

Un caso emblematico è stato un servizio del Tg2 dossier di qualche tempo fa: un insieme di osservazioni progressisticamente preconcette che contrastavano

drammaticamente con le stesse immagini proiettate (seppure attentamente sottoposte alla rigida censura mondialista). Infatti, tra arcaiche visioni di paradisi naturali e coppie multirazziali ostentate con malcelato secondo

fine, pochissime e sfuggenti erano le zoomate su Joannesburg, città con la più alta percentuale di omicidi al mondo, aggressioni in aumento esponenziale, centro finanziario e commerciale in stato di abbandono e decadenza. Di contro, il giornalista democratico si lanciava a decantare le sorti magnifiche e progressive di una ditta di farmers neri, dimenticandosi di far notare come le ditte a conduzione nera vincano ormai tutti i possibili appalti a prescindere da tutto.Pochi minuti sul disastro Aids, molto tempo invece speso dal progressista infame per visitare Oranje, ultima ridotta di bianchi afrikaneer (circa 600), e commentare con disprezzo l’attaccamento di quest’ultimi alla propria tradizione etno-razziale.

Infine per dare un tocco di obiettività a questo squallido esempio di

propaganda cosmopolita ecco una breve panoramica su Soweto, mostrata obiettivamente nelle sue drammatiche condizioni attuali (ebbene sì, nonostante i vari Mandela al potere).Eppure il giornalista si dimenticava di mettere a conoscenza del telespettatore di come l’economia sia ormai in caduta libera, il randa in costante ribasso (nel 1994 1 rand equivaleva a 500 lire italiane, nel 2002 1 rand = 198 lire). La criminalità oramai alle stelle (secondo le statistiche della polizia Sudafricana -SAPD- relativa ai crimini denunciati nell’anno 2001: in media ogni giorno 27 omicidi, 68 stupri e tentati stupri, 4 rapimenti, 333 aggressioni comuni, 357 aggressioni con intento di ferire, 65 crimini connessi alla droga, 278 furti, 411 furti con scasso… (Queste statistiche sono comunque considerate inferiori al reale). Un anno dopo in data 17 gennaio il Daily Telegraph riportava addirittura un incremento: «quello che è innegabile è che ci siano 59 omicidi e 752 stupri ogni giorno,in Sudafrica il secondo paese più violento al mondo dopo la Colo

 
Falluja, 450 morti in una settimana PDF Stampa E-mail
Scritto da TgCom   
Domenica 18 Aprile 2004 01:00

Lo hanno riferito fonti mediche

09-04-2004 E' drammatico il bilancio dei morti degli ultimi scontri a Falluja. Nell'ultima settimana sono almeno 450 gli iracheni rimasti uccisi e un migliaio i feriti. Lo ha riferito il direttore del maggiore ospedale della città sunnita. Al momento a Falluja le truppe Usa hanno interrotto le operazioni militari per aprire una trattativa. Ma la tregua, annunciata unilateralmente dalle forze americane e dal governatore civile Paul Bremer, potrebbe crollare.

I marines statunitensi avevano lanciato un vasta operazione lo scorso fine settimana per affrontare i guerriglieri presenti a Falluja e l'esercito americano ha ora deciso di sospendere temporaneamente le operazioni nella città.

 
Venezuela reo castrista PDF Stampa E-mail
Scritto da censurarossa   
Sabato 17 Aprile 2004 01:00

Scende la "cortina de hierro" sulla libertá. Chavez assicura che ha le armi per mantenere la rivoluzione

Come sempre nel suo show " Hello, President " che si ripete giá da ben 5 anni per ore tutte le domeniche, Hugo Chavez, presidente della repubblica del Venezuela ha chiarito alcuni punti che forse potevano far sorgere dubbi sull' assoluta dittatura castro-bolivariana che si sta instaurando nella nazione sudamericana.

Le affermazioni del leader pseudo"rivoluzionario" si riferiscono alle condanne che alcuni organismi internazionali hanno emesso di fronte alle repressioni violente e ingiustificate, compiute dal regimesialo scorso11Aprile 2002,che in quelle del Febbraio 2004.

La OIT, organizzazione mondiale del Lavoro con sedea Ginevra e che raggruppa 145 Paesi, ha condannato il regime chavista, il quale deve riassumere ben 18.000 lavoratori petrolieri licenziati per ever partecipato allo sciopero generale iniziatoa Dicembre 2002 e terminatoa Febbraio 2003. La OIT ha deciso che, secondo le leggi internazionali, tale sciopero si configura nelle azioni legali di protesta e pertanto non dá luogo a l' interruzione del contratto di lavoro. La risposta di Chavez é stata letteralmente " La OIT puede ir a freir monos " che significa che della OITpuó andare a farsi friggere,perché Venezuela é una nazione sovrana e pertanto qua comanda solo lui.

La seconda condanna é stata pronunciata nei giorniscorsi dalla commissione dei diritti umani della OSAe dell' ONU, condanna che si riferisce ai morti, feriti, torturati e scomparsi nelle ultime dimostrazioni di Febbraio 2004. Si riferisce anche alla campagna di terrore che il regime ha lanciato contro tutti coloro che hanno firmato per il referendm revocatorio minacciandoli di gravi sanzioni nel lavoroe in eventuali relazioni con enti statali - vedi i casi dei documenti, carta di identitá e passaporti negati- La risposta di Chavez é stata semplice, peró definitiva, affermando che tali commssioni sono dirette da Farisei e pertanto senza nessuna credibilitá, riassumendo di nuovo il concetto che il Venezuela é una nazione sovrana e pertanto non accetta intromissioni.

Éevidente il progressivo isolamentoverso ilquale si sta incamminando la nazione, isolamento volontario al fine di liberarsi dal peso delle leggi internazionali che oggi tuttora sono costituzionalmente valide, mapresto legalmente inapplicabili. Se un Paese come Cuba ha potuto sopravvivere 40 anni isolato per la propria volontá di Fidel Castro, ben potrá farlo il Venezuela c

 
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