Un imam: mi hanno fatto infilare slip da donna |
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Scritto da Il Messaggero
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Domenica 09 Maggio 2004 01:00 |
Continuano gli agghiaccianti resoconti delle torture made in USA. Neanche ai religiosi vengono risparmiate umiliazioni a sfondo sessuale.
BAGDAD Vorrebbe dimenticare quanto gli è accaduto, vorrebbe cancellare quei ventisei giorni maledetti nel carcere di Abu Ghraib. Accetta di raccontare le violenze subìte solo perché - dice - «si sappia che gli aguzzini americani sono peggiori di quelli di Saddam.» E' sconvolgente la vicenda di questo giovane imam sunnita, un religioso dall'aspetto ascetico che guida una piccola moschea nel quartiere di Amarjia, nel cuore di Bagdad. Arrestato dai marines perché accusato di proteggere gli autori di alcuni attacchi ai convogli americani, è stato portato in piena notte nel carcere degli orrori e torturato per giorni perché rivelasse dove i guerriglieri nascondevano le armi. «Non ho niente a che vedere con i gruppi ribelli - racconta ora - ho predicato sempre la tolleranza e la pace, non ho mai incitato nessuno alla rivolta, pur comprendendo i motivi per cui molti giovani iracheni davano e danno l'assalto ai soldati Usa». I suoi carcerieri non solo non hanno avuto alcun rispetto per il religioso, ma hanno fatto di tutto per umiliarlo, per umiliare i suoi sentimenti, la sua fede. «Erano le soldatesse le più scatenate contro di me, mi prendevano in giro, si divertivano a farmi dei gesti osceni, a simulare rapporti sessuali. Ma mai avrei immaginato quel che mi hanno fatto nel decimo giorno di prigionia». Ad aiutare nel racconto il giovane imam (non vuole ovviamente rivelare il suo vero nome, «scrivete che mi chiamo Abdul», dice), ci sono alcuni suoi amici e il padre, tocca a loro descrivere le scene più scabrose, i momenti più dolorosi della sua detenzione. Al mattino del decimo giorno, appunto, nella sua gabbia si presentano due giovani soldatesse, hanno in mano alcuni indumenti intimi femminili. Lo invitano a seguirle in un altro reparto di Abu Ghraib, quello in cui sono detenute numerose donne, quasi tutte mogli di presunti guerriglieri, imprigionate perché non hanno voluto rivelare dove si nascondono i loro uomini. In uno stanzone sono sedici le ospiti della prigione. Tutte sedute per terra e avvolte in lunghi abiti scuri. Si meravigliano all'arrivo delle donne americane e del giovane iracheno. Poi le soldatesse iniziano il loro orrendo show: costringono l'uomo a spogliarsi e a indossare un paio di slip da donna di colore rosso. Lui protesta, tenta di ribellarsi, ma non c'è nulla da fare, le tre americane lo minacciano e ridendo impediscono alle donne irachene di aiutarlo a rivestirsi. «Abdul» rimane così per tre ore in quello stanzone, con le donne che piangono e che implorano inutilmente pietà. L'imam si è ora rivolto al Consiglio degli ulema, che sta preparando un dossier sulle sevizie di Abu Ghraib. E' il primo religioso che rivela gli abusi subiti. «Mi hanno straziato il cuore», dice. |
Italiani rapiti... cala il silenzio |
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Scritto da V.A.
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Sabato 08 Maggio 2004 01:00 |
Malgrado proclami e silenzi stampa,nessuna notizia dei prigionieri italiani in Irak. Ora però è tempo di miracoli. Ad operarli dovrebbe essere un santone della sinistra pacifista,con la benedizione delle famiglie dei tre body-guard pizzicati dalla resistenza irakena armati fino ai denti.
Un convoglio dell'associazione umanitaria italiana Emergency, guidato dal fondatore, il medico chirurgo Gino Strada, è entrato questa mattina a Falluja, per portare alla popolazione locale acqua, cibo, vestiti, materassi, coperte e fornelli a gas.
La notizia è riportata dall'agenzia telematica 'Peacereporter', il cui direttore, Maso Notarianni (che è anche membro di Emergency), è in Iraq con Strada per tentare di riportare in Italia i tre ostaggi in mano ai guerriglieri iracheni. A questo scopo Strada e la delegazione di Emergency si sono incontrati alla fine della preghiera davanti alla moschea con gli emissari dell'imam Abdullah Al Jaanabi, il più importante di Falluja. Anche Moreno Pasquinelli,leader del Campo antimperialista,arrestato e rilasciato per reati legati al terrorismo,aveva offerto invano la sua intercessione presso esponenti dell'opposizione a Bagdad. I suoi tentativi si sono rivelati infruttuosi. A sinistra si chiama "diplomazia dal basso",auspicata da personalità della Chiesa vicine al mondo no-global,come Don Albino Bizzotto dei Beati i Costruttori di pace,utilizzando canali paralleli alla diplomazia ufficiale e in aperta concorrenza con questa. |
Scritto da Agi
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Sabato 08 Maggio 2004 01:00 |
Con toni abbastanza distaccati e senza alcun'emozione, il Segretario alla Difesa propone un risarcimento danni tradendo così una concezione monetaria della dignità umana. - Il segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld si è scusato per gli abusi commessi dalle truppe statunitensi sui detenuti iracheni. "Mi scuso profondamente", ha detto il ministro nell'audizione davanti alla commissione Difesa del Senato. Rumsfeld ha anche promesso "risarcimenti" alle vittime di torture. "Mi sento malissimo per ciò che è accaduto a questi detenuti iracheni", ha assicurato Rumsfeld che però non ha mostrato mai emozione durante il suo breve intervento. "Sono esseri umani", ha proseguito, "erano sotto la custodia degli Stati Uniti. Il nostro Paese ha l'obbligo di trattarli nel modo giusto. Non lo abbiamo fatto ed è stato sbagliato. A questi iracheni che sono stati maltrattati da esponenti delle Forze armate chiedo profondamente scusa". Rumsfeld ha ammesso di avere sottovalutato l'importanza di mettere subito al corrente della vicenda il presidente George W. Bush. "Non mi sono reso conto di quanto importante fosse far arrivare una questione di tale gravità ai più alti livelli, compreso il presidente e i membri del Congresso", ha detto. Il ministro si è assunto in prima persona la responsabilità degli orrori di cui si sono macchiati i soldati di guardia alla prigione di Abu Gharib, alla periferia di Baghdad. "Negli ultimi giorni, si e' molto discusso su chi abbia la responsabilità delle terribili azioni commesse ad Abu Gharib", ha ricordato, "queste cose sono accadute sotto i miei occhi. Come segretario alla Difesa, sono io a doverne rispondere e me ne assumo la completa responsabilità". Il capo del Pentagono ha annunciato la creazione di una commissione di inchiesta indipendente. Dal suo insediamento, il comitato avrà 45 giorni per riferire le conclusioni. Rumsfeld, comunque, ha promesso risarcimenti alle vittime. "Sto cercando un modo per assicurare un adeguato risarcimento a quei detenuti che hanno sofferto tali addoloranti e brutali abusi e crudeltà per mano di pochi membri delle Forze armate americane", ha detto, "è la cosa giusta da fare". |
Quegli uomini non erano terroristi ma combattenti della resistenza |
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Scritto da Noreporter.org
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Venerdì 07 Maggio 2004 01:00 |
Tokio – Avevano voluto a tutti i costi e insistito, il mondo politico e i mass media giapponesi, tv in testa, che i tre ostaggi caduti nelle mani di iracheni armati l'8 aprile scorso nei pressi di Falluja e poi liberati il 15 aprile dopo minacce di morte trasmesse dalla tv satellitare qatariota Al Jazeera, comparissero in pubblico a spiegare il perché del loro viaggio “avventato e sconsiderato” in Irak.  Lo hanno fatto ieri a Tokio, 12 giorni dopo il rientro in patria, con fierezza, semplicità e con convinzione. Peccato che le tv abbiano abdicato al loro compito, censurando la diretta, ricorrendo a tagli e facendo intervenire altri giornalisti a spiegare le parole, alcune scomode, degli ex ostaggi.
“So che s’è fatto un gran parlare in Giappone della nostra responsabilità individuale. Sono un giornalista, il mio dovere è quello di andare sul posto, anche se è rischioso, per raccontare a tutti quello che ho visto e constatato di persona. Perciò le critiche che ci sono piovute addosso non ci toccano. Chi ci ha rapito non erano terroristi, ma combattenti della resistenza. Alcuni hanno visto cadere uccisi loro figli”, ha detto Soichiro Coriyama, fotografo e giornalista free-lance di 32 anni.
“Sono andato in Irak di mia libera iniziativa, per studiare l'effetto delle armi a uranio impoverito e per raccontare a tutti cos'è la guerra in quel paese. E continuerò a farlo, appena mi sarà possibile. Responsabilità individuale? Sì, certo, ma quella di andare a dire che cosa accade in Irak”, gli ha fatto eco Noriyaki Imai, 18 anni, giovanissimo pacifista appena uscito dal liceo ma con una maturità e lucidità sorprendente nell'illustrare in modo succinto ma efficace e chiaro la dinamica dei loro otto giorni nelle mani di combattenti iracheni. “Ci sono stati momenti di grande tensione e paura. Siamo stati minacciati, urla, armi puntate contro e coltelli alla gola, accuse di essere spie. Ma dopo i primi giorni, i rapitori ci hanno trattato bene e raccontato che i loro compagni continuavano ad essere uccisi a Falluja”, ha aggiunto Imai.
All'incontro, tanto atteso, con la stampa, non ha partecipato Nahoto Takato, 34 anni, volontaria di u un’ organizzazione umanitaria che aiuta da un anno i bimbi orfani di guerra a Bagdad e invia viveri e medicinali. “Non si è ancora ripresa dalla choc, on riesce a dormire” hanno fatto sapere i familiari. Tutte le tv, pubblica e private, non hanno trasmesso in diretta la conferenza stampa dei due ex ostaggi, che è durata meno di mezz'ora, nonostante che un’ora prima dell’inizio le tv private avessero cominciato a fare collegamenti in diretta con il luogo della conferenza interrompendo i normali programmi e chiedendo all'inviato sul posto di descrivere nei minimi particolari che cosa stava succedendo. “Abbiamo mille domande da fare e tutti i giapponesi devono sapere dalla loro viva voce che cos'è accaduto e perché sono andati in Irak, malgrado i ripetuti moniti del governo a non farlo. Ci aspettiamo parole di scuse” avevano detto gli annunciatori di tutte le reti private.
Ne sono uscite trasmissioni a singhiozzo, in differita, con ripetizione a non finire di interventi dallo studio a spiegare che cosa avrebbero potuto o dovuto dire i due ex ostaggi, soprattutto sul tasto, definito “cruciale”, della loro responsabilità individuale per quanto era accaduto. Salvo poi a rassegnarsi alla fine a trasmettere il terso commento del fotografo free-lance Koriyama. “È un discorso che non ci tocca”. E ad ammettere che dai due ex ostaggi non erano arrivate parole di scusa.
Come nessuna parola di scuse e affermazioni analoghe sul tema della “responsabilità individuale” |
Scritto da Massimo Cacciari
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Venerdì 07 Maggio 2004 01:00 |
Tutto ciò che combatte il terrore con le armi del terrore non ha alcun diritto di giudicare i criminali di Abu Ghraib. In quelle immagini emerge tutta la miseria umana. Essa consiste essenzialmente nel credere che la propria superiorità si esprima nella capacità di abbassare l'altro, di umiliarlo. Che la nostra vittoria consista nella totale sconfitta di chi ci ha affrontato. In questa fede trova fondamento il nostro male radicale.  ECCOCI a ripetere per l'ennesima volta la medesima domanda: com'è possibile? Per carità di patria, fingiamo pure di ignorare quante Abu Ghraib siano perfettamente attive nel mondo in questo stesso momento, in quante cosiddette carceri si consumino i delitti incidentalmente e ingenuamente fotografati in Iraq. Come se non avessimo letto i resoconti di Amnesty International. Come non sapessimo tutti i motivi, anche quelli inconfessati e inconfessabili, per cui alcune potenze non hanno aderito alla Corte penale internazionale.
La Corte penale internazionale dovrebbe avere giurisdizione sui criminali di guerra, sui genocidi, sui delitti contro l'umanità. Ipocrisia sconfinata: mai si è chiacchierato tanto di diritti umani e mai si è forse così alacremente lavorato a costruire un mondo inumano. Inumano? La retorica offende le vittime più dei torturatori. La realtà cruda è un'altra: solo quando lo scopriamo in tutta la sua oscenità, solo quando è sbattuto in prima pagina, ci ridestiamo al male radicale che ci affligge, che è proprio esclusivamente di noi uomini. Ma per volgerne via subito lo sguardo e consolarci dicendo che mai saremmo capaci di quegli atti. Che essi, appunto, non appartengono all'umano. E a chi allora? All'animale, forse? Assolutamente no. Agli angeli? Neppure, credo. Guardiamo allora in faccia l'orrore di queste immagini, se vogliamo tentare di conoscere noi stessi. Allora soltanto potremo sperare di oltrepassare la condizione che rende possibile l'orrore, per cui continuamente esso fa ritorno.
È la condizione della paura, dell'ignoranza che genera paura. Della paura che genera odio. Tutto ciò che lo istiga e ispira, tutto ciò che dissimula sotto la maschera di intolleranze liberatrici la prepotenza del credersi e proclamarsi superiori, tutto ciò che ritiene nemico ogni prossimo che non si identifichi a noi, sta oggettivamente dalla parte dei torturatori. Tutto ciò che combatte il terrore con le armi del terrore non ha alcun diritto di giudicare i criminali di Abu Ghraib. Ma proprio per questo, pietà per i torturatori. Non solo perché non sanno quello che fanno e si fanno. Pietà anche per la nostra natura che in loro si disvela secondo la più perfetta misura della sua miseria. Essa consiste essenzialmente nel credere che la propria superiorità (e perciò la propria stessa sicurezza) si esprima nella capacità di abbassare l'altro, di umiliarlo. Che la nostra vittoria consista nella totale sconfitta di chi ci ha affrontato. In questa fede trova fondamento il nostro male radicale. I torturatori di Abu Ghraib non sanno che la tortura innalza, invece, la vittima; che il terrore che infliggono non rifletterà, alla fine, che la loro stessa angoscia impotente. Quando i vincitori vedono nell'annichilimento del nemico la misura della propria forza, la loro vittoria è destinata a trasformarsi in impotente prosecuzione della guerra. Forse anche a loro nelle scuole e nelle accademie tutto ciò era stato insegnato. Umano, troppo umano: comprendere ciò che sarebbe bene, e tanto a parole esaltarlo quanto contraddirlo nei fatti.
www.repubblica.it |
Taglia Di Bin Laden Su Annan e Italiani |
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Scritto da AGI
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Venerdì 07 Maggio 2004 01:00 |
Una ricompensa di dieci chilogrammi d'oro viene promessa da Osama bin Laden a chi uccida l'amministratore civile statunitense in Iraq, Paul Bremer, o il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan La taglia, annunciata dal capo dell'organizzazione terroristica al-Qaida su un sito islamico su Internet, promette la medesima ricompensa anche a chiunque uccida l'inviato dell'ONU in Iraq, Lakhdar Brahimi, e il vice di Bremer a Baghdad. "Noi dell'organizzazione al-Qaeda - si legge nel comunicato - ci impegnamo a premiare con 10.000 grammi d'oro chiunque uccida Bremer, il suo vice, il comandante delle forze americane o il suo vice in Iraq". La medesima ricompensa viene promessa per chi uccida Kofi Annan e l'inviato dell'ONU in Iraq Lakhdar Brahimi. Quest'ultimo si trova attualmente a Baghdad per consultazioni intese ad allestire un governo provvisorio iracheno in tempo per la cessione della sovranita' agli iracheni stessi, a fine giugno. Il governo degli Stati Uniti aveva offerto una ricompensa di 25 milioni di dollari per informazioni che portassero alla cattura di Bin Laden. Al valore attuale, 10 chilogrammi d'oro equivarrebbero a 137.000 dollari. Al Qaeda, inoltre, promette mezzo chilogrammo d'oro a chiunque uccida un soldato italiano in Iraq. La taglia viene offerta con un comunicato piazzato su un sito islamico su internet, nel quale si promette un chilogrammo d'oro a chiuqnue uccida un soldato o un civile statunitense o britannico, che lavori per la coalizione militare che occupa l'Iraq. Per l'uccisione di militari italiani o giapponesi il comunicato di al-Qaeda offre invece mezzo kg. d'oro. - |
Iraq: l'impossibile svolta dell'ONU |
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Scritto da Il Manifesto
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Venerdì 07 Maggio 2004 01:00 |
Il passaggio dei poteri all'ONU potrà cancellare l'infamia di una guerra ingiusta ed illegittima, le distruzioni dei bombardamenti, le violenze e le torture?  C'è chi attende che dal cappello a cilindro di Lakhdar Brahimi esca fuori magicamente la democratizzazione dell'Iraq. In poche settimane l'inviato speciale delle Nazioni Unite dovrebbe riuscire a trovare la formula che restituisca sovranità e dignità al popolo iracheno. L'istituzione di un nuovo governo dovrebbe attribuire i crismi della legalità e della legittimità politica al processo di ricostruzione del paese. Nello stesso tempo, però, le potenze occupanti continueranno ad essere tali, come l'amministrazione statunitense ha più volte precisato. Lo ha confermato nel modo più esplicito, il 23 aprile, il sottosegretario di Stato Marc Grossman, di fronte al Foreign Relation Committee del Senato: in Iraq «le Nazioni Unite avranno un ruolo piuttosto importante ma limitato». Sarà un ruolo «limitato» perché non ci sarà alcun ritiro delle forze militari delle potenze occupanti, e perché gli Stati Uniti non sospenderanno la costruzione delle loro basi militari, necessarie per garantire la «sicurezza» del paese.
Il nuovo governo non potrà emanare nuove leggi senza il consenso del comando americano e non potrà abrogare le decisioni che il Governing Council ha già preso, eseguendo gli ordini di Paul Bremer. Né potrà essere revocato tutto ciò che è stato deciso per contrastare la prospettiva di un repubblica islamica, voluta dalla maggioranza sciita del paese, sotto la guida dell'ayatollah Ali al-Si
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Le vite violente di Charles e Lynndie |
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Scritto da Il Messaggero
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Venerdì 07 Maggio 2004 01:00 |
L'ordinario squallore delle esistenze di Charles Graner e Lynndie England, i due soldati USA immortalati nelle ormai celebri foto della vergogna di Abu Ghraib. Due storie americane.
NEW YORK - La prigione in Pennsylvania dove lavorava come secondino fu coinvolta in una storia di abusi sui detenuti. Il suo matrimonio è finito in un divorzio costellato da accuse di violenze domestiche. Per rifarsi una vita, l'ex marine Charles Graner era andato in Iraq con una divisa della polizia militare, ma a quanto pare non è riuscito a lasciare a casa i propri istinti: le foto sulle torture ad Abu Ghraib lo hanno fatto diventare uno dei protagonisti dello scandalo che imbarazza e indigna l'America. Le immagini della vergogna lo ritraggono in piedi sorridente vicino a piramidi di corpi umani nudi, insieme alla soldatessa Lynndie England, la fidanzata del momento (secondo alcune voci aspetterebbe un figlio da Graner). Charles e Lynndie, sono ora in basi militari negli Usa in attesa che il Pentagono decida il loro destino. Per Graner è pronta la corte marziale. Una storia, la sua, segnata da episodi che oggi suonano come campanelli d'allarme non ascoltati. Nel maggio 1996, quando lasciò i marines, andò a presentarsi all'amministrazione carceraria della Pennsylvania. Due anni dopo il carcere si trovò al centro di uno scandalo. Nelle mani dei procuratori locali arrivarono 36 videocassette che mostravano le guardie che prendevano a calci i detenuti. L'inchiesta portò al licenziamento di 4 agenti, ma Graner ne uscì indenne. Negli stessi anni Graner era impegnato in un divorzio diventato una battaglia legale. Nel ’97 la moglie Staci lo lasciò e nel febbraio del ’98 lo accusò di essere entrato in casa sua con la forza: «Mi ha sollevato e gettato contro un muro», sostenne Staci. I giudici hanno emesso contro di lui almeno tre ordini di star lontano dall'ex moglie e dai figli. E ieri altre foto scandalo sono state pubblicate dal Washington Post. In prima pagina c’è sempre lei Lynndie R. England, la soldatessa di 21 anni che in un corridoio di Abu Ghraib trascina un iracheno completamente nudo al guinzaglio. Minuta, i capelli tagliati corti a caschetto. Già divorziata a 20 anni dopo un matrimonio con un commesso del locale supermercato durato lo spazio di un mattino, è cresciuta fin dall'età di due anni in una casa-roulotte a Fort Ashby. L’intero paese era orgoglioso di Lynndie. Oggi la gente non parla, e chi parla ha fatto marcia indietro: «Dovrebbero pagare caro per quel che hanno fatto: avevano abbastanza addestramento per saper distinguere il bene dal male, e hanno fatto del male». Lynndie è ora confinata in una base della North Carolina, degradata da specialista a soldato semplice. Anche lei è in attesa che il Pentagono decida il suo destino. |
Nuovi attacchi della resistenza irachena |
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Scritto da Adnkronos
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Giovedì 06 Maggio 2004 01:00 |
A Baghdad, Nassiriya e Baaquba. Coinvolti anche i Carabinieri italiani che sono usciti dalla scaramuccia senza subire perdite Autobomba a Baghdad nei pressi della Zona Verde, dove ha sede il quartier generale della coalizione.
Il bilancio del nuovo attentato suicida è di sette morti, compreso l'attentatore, e venticinque feriti. Tra le vittime un soldato americano e cinque civili iracheni mentre tra i feriti, secondo quanto riferiscono fonti della coalizione, figurano due soldati statunitensi e 23 civili. (Adnkronos)
Nuovo attacco anche a Nassiriya. Questa notte una pattuglia di carabinieri della Msu (Multinational Specialized Unit) è stata fatta oggetto di colpi di arma da fuoco e razzi rpg, mentre si trovava in ricognizione per le strade della città, verso le 22 locali (mezzanotte in Italia). I Carabinieri hanno risposto al fuoco e si sono sottratti al tiro degli aggressori. Non si registrano feriti tra i militari italiani.
L'esplosione di due ordigni questa mattina a Baaquba, in Iraq, ha distrutto il quartier generale dell'Unione Patriottica del Kurdistan (PUK). |
Scritto da AGI
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Giovedì 06 Maggio 2004 01:00 |
Scavalcato all'interno del Likud sul piano dell'intransigenza, Sharon ha comunque perseverato a proporre il suo piano per la "normalizzazione" palestinese - Gerusalemme, 6 mag. - Nonostante la bocciatura subita nel referendum interno al Likud di domenica, Ariel Sharon presenterà ufficialmente al governo israeliano il proprio piano per il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza senza apportarvi alcuna modifica rispetto a quanto originariamente previsto. Lo ha puntualizzato il vice premier e ministro del Commercio ebraico, Ehud Olmert, in un'intervista rilasciata al quotidiano in lingua inglese 'The Jerusalem Post'. Olmert, ex sindaco di Gerusalemme e compagno di partito di Sharon, sul giornale in qualche modo smentisce se stesso affermando, al contrario di quanto proprio lui aveva ipotizzato in precedenza, che il ritiro non sarà ridotto ad alcuni insediamenti di Gaza invece che estendersi a tutti i 21 attualmente esistenti; in altri termini, nessuna concessione agli oltranzisti del Likud. Anzi, aggiunge il vice premier israeliano, le previsioni sono nel senso che il piano Sharon possa essere approvato a breve termine, "nel giro di settimane"; e cio' sebbene si stimi che non più di una dozzina di ministri, sui 23 che compongono l'esecutivo, siano disposti ad appoggiarlo. (AGI) . |
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