venerdì 19 Luglio 2024

Il cocco durerà mille anni

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Uno scrittore e un uomo definito pazzo

Fate conto di incontrare in un romanzo un personaggio con le seguenti caratteristiche. Tedesco della prima metà del Novecento. Vegetariano. Romantico.

Aspirante artista. Seducente nel suo impeto venato di follia. Disgustato dalla vecchia aristocrazia come dalla borghesia dedita al commercio. Convinto di avere in tasca la formula giusta per forgiare un uomo nuovo, una razza perfetta. Cresciuto nella convinzione che il XX sarebbe stato il secolo in cui «la Germania avrebbe assunto il meritato posto d’onore a capotavola tra le potenze mondiali». Chi vi fa venire in mente? Esatto: Adolf Hitler. Se poi è lo scrittore stesso a rivelare il nesso e insistere sulla somiglianza, stringete fra le mani Imperium (Neri Pozza, pagg. 256, euro 16; in uscita a fine mese) dello svizzero Christian Kracht. Un libro accusato di simpatie naziste che ha suscitato scalpore nei Paesi di lingua tedesca. Del resto la polemica è cercata (e ottenuta). Altrimenti Kracht, nel passo in cui viene evocato Hitler, non avrebbe commentato che «forse avrebbe fatto meglio a restare accanto al suo cavalletto» (il corsivo è mio). Sarebbe però un errore scambiare Imperium per l’ennesimo, scontato «mini-scandalo alla svastica» di cui è esperto Maurizio Cattelan.
August Engelhardt, il tedesco di cui sopra, è convinto che il cocco sia un frutto divino. Non solo offre nutrimento ma cresce sulle palme più alte. È dunque vicino al sole, forse a Dio stesso. Ha qualcosa di spirituale. Il nostro vegano di Norimberga parte. Vuole fondare una colonia di adoratori del cocco oltreoceano, in Nuova Guinea, all’epoca dominio del Reich. Finalmente giunto in Oceania, acquista, a un prezzo esorbitante, la piccola isola di Kabakon per coltivare una piantagione e fondare l’ordine degli adoratori del cocco. È l’inizio surreale di un’avventura che, di pagina in pagina, diventa sempre più incredibile. Le gesta di Engelhardt valicano i mari e giungono in patria. Pur amando la solitudine, egli attira una schiera di squilibrati. Sono viaggiatori e sognatori delusi dal materialismo della società governata da Guglielmo II. Il «coccovorismo» sembra offrire loro una via d’uscita, uno stile di vita libero, anticonformista.
Tollerato dagli indigeni come uno strambo ma innocuo occidentale, Engelhardt sprofonda nel delirio assoluto. Succede letteralmente di tutto: omicidi, amicizie paranoiche, nudismo, stupri, finti guru, truffe, cannibalismo, automutilazioni, malattie orrende, imperialismo straccione, tribalismo da incubo. In fondo al precipizio c’è anche l’improvvisa scoperta dell’antisemitismo. Il «coccovorismo» sembra non funzionare: sarà colpa degli ebrei. Perché? Non si sa, ma un capro espiatorio è necessario ed Engelhardt non fa che adeguarsi al pensiero corrente nella Germania di inizio Novecento. Mentre a Kabakon la situazione precipita, il resto del mondo corre verso la guerra e la morte, come se fosse desideroso di esplodere una volta per tutte.
Engelhardt è dunque un pazzo. E come tale additato dallo scrittore, che infierisce e non risparmia alcun dileggio al suo grottesco protagonista. Eppure… Non è difficile capire perché il romanzo abbia irritato qualcuno e suscitato reazioni indignate. Engelhardt è un povero invasato, non c’è possibilità d’equivoco. Tuttavia sembra migliore della gretta società che lo circonda. Fa orrore l’ipocrita borghesia tedesca e coloniale, moralista ma corrotta fino al midollo. Fanno orrore i «buoni selvaggi» che buoni non sono, anzi: sono la parodia stolida e spesso disumana dei già schifosi «civilizzatori». Fanno orrore i seguaci fricchettoni di Engelhardt, un branco di idioti venuti a morire di malaria nel mezzo del Pacifico. Meglio un idealista, per quanto sciroccato, di tutti costoro.
Imperium è dominato da un tono sarcastico che scivola spesso nel disprezzo. È il suo bello, il vero motivo per cui questa storia strampalata, sospesa da qualche parte tra Conrad e Houellebecq, si fa leggere con gusto dall’inizio alla fine. Nazismo? Estrema destra? Le imprevedibili ultime pagine, che ovviamente evito di raccontare, sembrano smentire l’ipotesi senza nulla togliere alla carica trasgressiva del romanzo.

 

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