sabato 20 Luglio 2024

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La pasionaria di Soros ha qualcosa in comune con Alemanno

Il padre generale.

Il suo seno e la ghirlanda di fiori arcobaleno tatuata sul ventre sono famosi come e forse più del suo viso. Ma si sbaglia chi pensa che Inna Shevchenko, la più famosa attivista delle Femen ucraine, sia soltanto una ragazza bionda di 23 anni che sfrutta la platea mediatica offerta dalle clamorose proteste in topless per acquisire fama planetaria. «Mi sono laureata in giornalismo col massimo dei voti nella più prestigiosa università di Kiev, poi ho lavorato nell’ufficio stampa del Comune della mia città e lì ho cominciato a toccare con mano il maschilismo che domina questa società».

Nel senso che ha subìto mobbing da parte dei suoi colleghi uomini? C’è la tendenza a pensare che una donna diventi Femen in reazione a tentativi di violenza o soprusi.

«Non bisogna essere state stuprate per protestare contro un mondo in cui la mancanza di democrazia e il predominio del sesso maschile nelle nostre società sono evidenti. Quando ho cominciato a espormi in prima persona, nel 2009, mi hanno licenziata e ho perso il lavoro. Le sembra giusto? Se fossi stata un uomo e fossi scesa in strada alzando cartelli a petto nudo nessuno mi avrebbe toccata. E poi nei comunicati pretendevano che mentissi scrivendo sempre cose positive».

Suo padre, ufficiale dell’esercito, come ha reagito la prima volta che l’ha vista farsi arrestare dalle guardie in un luogo pubblico a seno nudo?

«Papà è molto fiero di me, condivide le motivazioni delle mie battaglie, magari vorrebbe essere maggiormente informato sulla mia vita privata, sapere dove sono, però sa che metto in pratica il suo principale insegnamento: essere responsabile delle mie scelte fino in fondo, pagandone anche le conseguenze più spiacevoli».

Ha lasciato l’Ucraina per paura di ritorsioni?

«Mi sono trasferita a Parigi per coordinare il movimento internazionale delle Femen che è cresciuto moltissimo in questi quattro anni. In Ucraina non c’è quasi libertà di pensiero. Eppure siamo stati protagonisti di una rivoluzione, quella “arancione”, che nel 2004 sembrava avere cambiato definitivamente volto al Paese. Io ero molto giovane ma sono stati quei movimenti a impiantare in me il seme della lotta contro le ingiustizie e gli abusi di potere».

Non teme mai di esagerare? In Bielorussia ha rischiato di essere uccisa…

«Le guardie di Lukasenko ci hanno sequestrate, portate in un luogo sperduto nei boschi, cosparso il corpo di benzina. Ci hanno girato intorno una notte intera coi cerini in mano minacciando di darci fuoco, dopo averci picchiate per la nostra protesta davanti al Kgb di Minsk. Quell’esperienza mi ha dato una forza immensa».

Col senno di poi c’è qualche protesta in cui si è vergognata e non rifarebbe? Ad esempio spogliarsi in Piazza San Pietro oppure dentro Notre Dame di Parigi per il personale saluto delle Femen a Papa Benedetto XVI?

«Era un Papa omofobo, la nostra rabbia era giustificata. Nessun pentimento. I nostri ideali sono seri e profondi. Io nel privato sono timida e riservata, la fama non mi interessa. La bellezza è un’arma potente se usata nel modo giusto».

Collabora con Charlie Hebdo, il giornale satirico francese, lo stesso che pubblicò le vignette su Maometto del disegnatore Luz capaci di scatenare grandi proteste della comunità islamica…

«Ho scelto una rivista libera, come me, che crede nella piena e totale libertà di espressione».

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