venerdì 19 Luglio 2024

In morte di un funzionario comunista

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Sante Moretti malgrado la retorica

Quando muore un nemico, anche se ci ha sparato addosso, se si trattava di un combattente, il primo sentimento che proviamo è il rispetto.
Rammento il funerale di Prospero Gallinari con i pugni chiusi. Un gran bel funerale in dignità per un uomo degno. Gallinari non avrebbe esitato un istante ad ammazzarci ma era un combattente, un guerriero e lo rispettiamo.
Di combattenti, di guerrieri nemici, ce ne furono molti. Anche quando passarono accordi con centrali di potere con cinismo rivoluzionario, come fu il caso di Moretti, quell’altro, il primo sentimento resta il rispetto.
Cose nostre, di fascisti, si dirà.
Certo, se prendiamo la partigiana Norma Fumis Bacicchi, testé scomparsa, che si faceva un vanto di bere un bicchiere di vino per festeggiare ogni volta che moriva un fascista, ci vien da pensare che siamo davvero di un’altra razza.
Persisto però nel credere che non tutti i comunisti siano di razza partigiana e che i combattenti onorino i combattenti. E quand’anche non fosse reciproco chi se ne frega: noi li onoreremo lo stesso. Ma deve trattarsi di combattenti e di uomini che rischiano sulla propria pelle. E che qualche volta pagano pure.

Sante Moretti
E’ appena morto Sante Moretti.
Se n’è andato e basta e se gente come Ferrero non avesse provato a glorificarlo non ne parleremmo neppure.
Ma chi lo ha incrociato sa bene che quel personaggio fu l’emblema del peggior piccismo – ovvero del comunismo Pci – fatto di arroganza, d’ipocrisia, di sopraffazione e aduso manovrare gli altri in nome del cinismo di partito
Lo rammento bene il Moretti; quando veniva davanti al Giulio Cesare da quarantenne e da dirigente della Federbraccianti della Cgil.
Era un fomentatore. Ed era anche un protettore con ottime relazioni in Polizia.
Quando c’erano gli scontri e alcuni dei suoi peones, dopo l’intervento delle forze dell’ordine, venivano fermati e trattenuti perché in possesso di coltelli o spranghe, l’agit-prop si precipitava in Questura e li faceva liberare subito, senza neppure una denuncia.
Venivano spesso questi figuri davanti al liceo. Talmente spesso che il mio primo scontro lo ebbi, a diciassette anni, davanti ai cancelli proprio con mazzieri della Cgil.
Ma noi avevamo una mistica eroica e per noi ragazzini batterci contro adulti agguerriti non era un problema, del resto uno a quattro era il rapporto vincente; e ci scontravamo anche uno a dieci o uno a dodici. Non chiedetemi come fu, ma vincevamo sempre.
A Roma, me presente, quando non abbiamo prevalso è perché li abbiamo visti fuggire rovinosamente. Solo una volta non mi è capitato: nell’ottobre 1973 a mani nude contro paletti di ferro.
Anche Moretti e i suoi fuggivano eccome. E quando non fuggivano le prendevano.
Così, sempre nel 1973 ma in primavera, una discesa di questi quarantenni finì in una furibonda scazzottata ma ebbero la peggio.
La notte scattò l’arresto di tre studenti, voluto proprio da Moretti che li aveva denunciati.
Passarono ben quindici giorni a Regina Coeli accusati di essere “picchiatori”, loro, studenti, di adulti venuti ad aggredirli, democraticamente però.
Questo era Sante Moretti, anima ed emblema del Pci.
Quel signore provò anche a sfruttare un episodio di cronaca nera per alimentare l’odio e instaurare un clima da linciaggio: lo dovette portar via, a mano armata, la pantera della polizia perché l’indignazione generale del liceo gli fece passare un bruttissimo quarto d’ora.

Infamie
Di Francesco Cecchin sapevamo.
Ho scoperto solo oggi l’ultima infamia: non sapevo che il Moretti avesse osato parlare di faida interna e accusare noi di Terza Posizione di quell’ignominia. Senza parole ma non me ne stupisco: tant’ignominia si addice al ricordo che ho di lui e del suo partito.
So pure che, dopo Cecchin, il Moretti, il leone Moretti, sparì per un certo periodo.
Temeva i Nar e, sinceramente penso che avesse visto giusto.
Poi, calmatesi le acque, è tornato a fare lo spaccamontagne. Quando non c’erano più montagne da spaccare.
A suo tempo, quando il Pci giocava su due binari e quando copriva le BR, si mormorava a Roma che il Moretti tenesse contatti con la formazione più estremistica di allora, Potere Operaio.
Fondato o no che fosse, di sicuro c’è che il “rivoluzionario” si fermò per tempo.
Una vita per la rivoluzione?
Nel Partito comunista e poi in sue schegge successive, il Moretti ha effettivamente speso una vita: ma con stipendi, emolumenti e pensioni, non come noi che abbiamo solo speso; non come gli ultrà rossi che hanno solo speso e che ci hanno spesso rimesso la vita o l’hanno trascorsa quasi per intero dietro le sbarre.

Amen
Ora è morto.
Non avevamo voglia di parlarne perché noi fascisti onoriamo i nemici degni e per quelli indegni alziamo solo le spalle. Noi non siamo di razza partigiana. Non sputiamo sui cadaveri, non cerchiamo di scoperchiare le tombe, non amiamo questi infimi sabbah.
Non ne avrei quindi mai parlato senza la retorica pagliaccesca di Ferrero. 
E’ diventato invece un dovere perché non si può mistificare impunemente.
Sante Moretti non aveva nulla del guerriero e del rivoluzionario.
Tutto del funzionario arrogante e ammanicato di un partito dalla doppia morale, sovvertitore nella calunnia, esaltatore delle invidie e delle meschinità, malvagio e calcolatore.
Soprattutto i compagni veri, quelli che sono stati eccitati, coperti, poi scaricati e infine letteralmente traditi da quella gente che sul loro sangue ha fatto carriera, non meritano certi necrologi.
In quanto a noi, per quel che ci riguarda, gli abbiamo rivolta fin troppa attenzione.
Non la meritava di certo.

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