Ci ha lasciati il fratello di Rutilio che ha sbugiardato Darwin
È morto Giuseppe Sermonti e i giornali lo hanno ricordato, per lo più, come un personaggio curioso, un dinosauro sopravvissuto alle intemperie dei secoli. Si è rammentato, soprattutto, il suo invito a Dimenticare Darwin, come recita il titolo di un suo libro di successo, letto e amato da molti che hanno visto in quel dotto professore, non tanto il nemico del naturalista inglese, quanto di quella religione scientista sorta intorno a Charles Darwin, grazie a lui, in parte malgrado lui. Sermonti non è stato un professore qualsiasi: biologo, docente di genetica in varie università italiane, presidente dell’Associazione genetica italiana e vicepresidente del XIV Congresso internazionale di genetica tenutosi a Mosca nel 1978.
Si potrebbe partire proprio dalla Mosca comunista per capire la battaglia scientifica e culturale di Sermonti, condensata in una sua celebre frase: «Tutti i manuali di scienza per le scuole partono da una premessa (o addirittura da una vecchia mitologia) scientista, cioè dalla convinzione che la scienza sia in grado di dare una risposta a tutti i problemi. In tal modo si nega o si nasconde che la scienza si aggira nel mistero e che ogni sua scoperta apre un nuovo mistero.
La Mosca comunista è il regno dello scientismo: per Lenin la scienza cancellerà la fede in Dio, ogni possibilità di mistero, rendendo chiara a tutti l’unica realtà esistente, cioè la «materia unica, eterna, indistruttibile», come scriveva un altrettanto dogmatico Benito Mussolini, ancora socialista, nel 1904. Eppure, mentre mitizzano la scienza i sovietici condannano violentemente proprio i progressi della scienza contemporanea, considerando come non ortodosse la genetica fondata dal monaco ceco Gregor Mendel e la nuova cosmologia del Big bang, proposta dal sacerdote belga Georges Edouard Lemaitre.
Il biologo neodarwinista Julian Huxley, nel suo La genetica sovietica e la scienza, ricorda la fine che facevano, nella «patria dei lavoratori e della scienza», i genetisti e i cosmologi colpevoli di aderire o di approfondire le nuove teorie: perdita della cattedra, gulag o fucilazione. Recandosi a Mosca, ne11978, Sermonti va dunque in un Paese che ha sposato più di ogni altro l’idea, per lui aberrante, che la scienza sperimentale ha compreso ogni cosa. Lo aveva dichiarato apertis verbis Leon Trotsky nel 1925: «Non esiste l’impenetrabile per il pensiero cosciente. Noi raggiungeremo ogni cosa! Noi domineremo ogni cosa! Noi ricostruiremo ogni cosa!».
L’aspetto curioso è che poche righe prima, il fondatore dell’Armata Rossa aveva dovuto ammettere che lo stesso Dmitrij Ivanovic Mendeleev, lo scienziato russo dell’Ottocento autore delle tavole periodiche degli elementi, pur molto fiducioso nelle potenzialità della scienza, aveva, erroneamente, dichiarato il suo «agnosticismo», cioè l’impossibilità per l’uomo di annullare ogni mistero.
Ecco, anche Sermonti è stato, in questo senso, un «agnostico»: con Blaise Pascal riteneva che i limiti della scienza sono connessi ai limiti dell’uomo; con Isaac Newton, Madame Curie e Albert Einstein pensava che lo scienziato è come un bambino, capace più di stupirsi e di domandare, che di rispondere a tutto; con Socrate proclamava che l’uomo saggio «sa non di sapere»; con Agostino e Nicolò Cusano si considerava un «dotto ignorante», che ritiene più razionale credere nell’Onniscienza di Dio che in quella dell’uomo…
E così, senza entrare ora nelle sue specifiche critiche al darwinismo, Sermonti va ricordato per il suo coraggio di seminare dei dubbi in mezzo all’ortodossia scientista, mettendo in luce l’assurdità di un’ideologia per la quale l’uomo è, nello stesso tempo, una semplice «scimmia nuda», figlia di un cieco meccanismo che tutto produce e realizza, e un essere che ha compreso tutto e che conosce tutto!
Non importa, in conclusione, se Dimenticare Darwin e gli altri scritti di Sermonti, siano lavori scientifici in tutto e per tutto corretti: certamente non lo pretendeva neppure lui! È certo però che molte delle affermazioni di Sermonti, anche le più lapidarie («Sull’origine dell’uomo non sappiamo nulla» è una di queste) contengono profonde verità, se è vero come è vero che da una parte compaiono continue revisioni della storia evolutiva (la rivista darwiniana Le scienze, del novembre 2014, pubblicava un articolo così intitolato: «La saga dell’umanità. Riscrivere l’evoluzione. Un’ondata di nuove e sorprendenti scoperte sta costringendo a ripensare molto di ciò che credevamo di sapere sulla storia umana»), mentre dall’altra è sempre più chiaro che l’uomo, il suo pensiero, la sua volontà, la sua creatività, il suo linguaggio… sono ben altro rispetto al frutto di un meccanismo cieco, e fanno molta fatica a stare, per quanto pigiati e compressi dall’ideologia, in quell’1% circa di materia/Dna che distingue l’uomo dallo scimpanzé.
Alla fine della sua vita, Sermonti si dedicò anche alle fiabe, con uno stile poetico piuttosto suggestivo. I detrattori lo presero in giro, con frasi di questo tenore: «Autore di diversi libri e articoli di critica letteraria delle fiabe, l’aspirazione ultima di Sermonti sembra essere proprio di vivere lui stesso nelle favole». In sua memoria, proviamo a rigirare noi la frittata, ribaltando l’accusa: «molte interpretazioni dell’evoluzione umana assumono la forma della favola, con un eroe in via di trasformazione (da rospo a principe), una fatina (la teoria darwiniana), un talismano (la stazione eretta o l’encefalizzazione, tra mille) e un lieto fine (homo sapiens, noi), con tutti che vivono felici e contenti». A Sermonti, insomma, piacevano anche le fiabe, ma non questa.