giovedì 18 Luglio 2024

La prossima bolla

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L’Hi-tech

Una spinta targata tecnologia. Wall Street sta cavalcando uno dei rally più lunghi della sua storia grazie anche, e soprattutto, alle società hi-tech. Da inizio anno l’S&P 500, alla chiusura di venerdì 19 luglio, era in rialzo (secondo il terminale Bloomberg) del 18,27% (+20,06% se si considera in re-investimento dei dividendi). Ebbene il settore dell’ “Information Technology” ha messo a segno un andamento ben superiore: è salito del 30,03% (+31,13%).
Certo: anche altri segmenti sono in territorio positivo. Così, ad esempio, l’ “Health care” cresce del 5,9% mentre i titoli finanziari aumentano del 17,11%. Gli stessi comparti dell’ “Energy” e delle “Utility”” guadagnano, sempre dal primo gennaio scorso, rispettivamente il 9,41 e il 13,99%. Che dire, poi, del mondo industriale (+20,3%) e dei consumi (i titoli legati a quelli discrezionali salgono del 24,05%).

Il balzo dei giganti tecnologici
Ciò detto, però, sono proprio i dati del settore dell’ “Information technology” a indicare che il mondo delle tecnologie sta tirando la volata a Wall Street. La riprova? Arriva dalle singole performance delle principali società hi-tech quotate alla Borsa di New York. Così Microsoft, che la scorsa settimana ha pubblicato una trimestrale superiore alle attese, guadagna il 34,5% mentre Amazon sale del 30,8%. Facebook, in attesa dei numeri dell’ultimo “quarter” (analogamente al gruppo di Jeff Bezos, di Google e di Apple), aumenta da inizio anno del 51,31%. La casa di Cupertino e Oracle, infine, mettono a segno un incremento rispettivamente del 28,4 e 27,4%. Insomma: le dinamiche indicate non sembrano lasciare spazio ai dubbi. Tanto che, secondo quanto riportato dal Wsj, i dati dell’ S&P Dow Jones index indicano che Microsoft, Apple, Amazon e Facebook da soli sono valsi ben il 19% di tutto il “total return” dell’S&P 500 stesso.

Di là da ciò: si tratta di una situazione che può proseguire? Vale a dire: c’è il richio che i titoli tecnologici possano ritracciare? Difficile rispondere alla domanda. Una suggestione, in tal senso, può darla l’indicatore del rapporto tra prezzo dell’indice e gli utili riconducibili al medesimo (P/e). Certo: il P/e spesso è stato criticato per non essere più così efficiente (soprattutto negli Usa a causa dei buy back). Tuttavia una prima approssimazione può fornirla.
Così, rispetto all’S&P 500, il terminale di Bloomberg indica che il P/e sugli utili stimati a fine 2019 è di 17,9 volte. Un valore , più o meno, in linea con il passato. Dal 2006 ad oggi il dato più basso dell’indicatore si è avuto nel 2011 (13,43 volte). Il più alto, invece, c’è stato due anni fa (2017) con un P/e di 21,74 volte. Più in particolare, rispetto al settore dell’ “Information technology”, l’indicatore si assesta a quota 20,69 volte (sugli utili stimati a fine anno). Il suo livello più basso lo si è visto nel 2008 (13,38) e il più alto nel 2006 (23,86). Inferiore il P/e nell’ “Health care”. Qui il rapporto prezzo/utili viaggia a circa 15,88 a fronte del 23,63 nel 2016. La situazione, a ben vedere, è piuttosto simile negli altri comparti. Insomma: guardando il P/e il settore tecnologico risulta essere più caro degli altri comparti.

C’è il rischio bolla nell’hi-tech?
Questo è sufficiente a sostenere che c’è il rischio bolla nell’hi-tech “Made in Usa”? Per rispondere pare corretto distinguere il medio-lungo periodo da un arco di tempo più limitato.
Rispetto al primo fronte diversi esperti, nel corso degli ultimi tempi, hanno spesso sottolineato la preoccupazione per un eventuale ritracciamento dei corsi azionari dei titoli tecnologici. Tuttavia queste indicazioni non si sono, tranne brevi eccezioni temporali, fin qui concretizzate. In primis perchè, indicano altri analisti, in periodi quale l’attuale è fondamentale investire nelle società a più alta qualità. Come, ad esempio, Microsoft. Inoltre perchè, viene ricordato, a Wall Street il listino è sostenuto dai buy back. Cioè: l’acquisto delle proprie azioni da parte delle società (soprattutto quelle tecnologiche). Un’attività che, secondo Ed Yardeni, nel primo trimestre del 2019 si è assestata, con il valore annualizzato, a circa 823 miliardi di dollari. Non solo. La politica monetaria espansiva della Federal reserve, con la prospettiva di un taglio di 25 punti base al costo del denaro nella prossima riunione del 31 luglio, sostiene le Borse. Con il rendimento del T-Bond decennale intorno al 2% la spinta a puntare sul capitale di rischio è maggiore. Insomma: è probabile un movimento laterale ma non un crollo.

Ciò detto, guardando al più breve periodo, è interessante sottolineare quanto indicato dall’analista Chris Puplava. L’esperto ha calcolato la differenza tra l’andamento dell’S&P 500 e la media/mediana del ribasso dei titoli del paniere dal loro massimo sulle 52 settimane. Ebbene l’analista fa notare che lo spread va ampliandosi e questo è un segnale di come il rally attuale possa non avere le solide basi che tutti pensano. Tanto che, passata la tornata delle banche centrali, non può escludersi che Wall Street (sostenuta dai titoli hi tech) scarichi un po’ le sue posizioni.
Al di là di ciò non può dimenticarsi che i gestori, secondo il report mensile di BofAML, continuano a considerare la guerra delle tariffe tra Usa e Cina il peggiore dei rischi. Una “trade war” che, a ben vedere, è uno scontro per la supremazia tecnologica. Di conseguenza, così come da un lato la nuova normalità dei tassi a zero ha implicato che indicatori tradizionali quali il P/e abbiano perso di peso; dall’altro il rischio che possa palesarsi un”Cigno Nero” non è da cancellare completamente dal radar.

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