Fuggirono il comunismo e non immaginavano che lo avrebbero ritrovato qui
“Se non mi faccio una pera oggi quando me la faccio?” Così trent’anni fa Walter Spedicato ordinando una grappa Williams al bancone di un caffè di Parigi non appena ricevemmo notizia della caduta del Muro e dell’avvio di riunificazione della Germania.
Questa passione non verrà oggi compresa dai micragnosi di spirito e dalle meschine aspirazioni provinciali e bottegaie che si sono lasciati avvelenare da una germanofobia pezzente, divenuta perfino rigetto delle radici spirituali e di civiltà che esprimono l’Europa.
Per generazioni di sognatori, di poeti e di combattenti che, peraltro, andavano in fondo alle cose in nome della coerenza e della fedeltà, la rottura di quel muro, nel cuore dell’Europa, rappresentava un segno straordinario alla faccia di tutti gli Andreotti dei nostri stivali. Un segno del destino del quale avremmo dovuto dimostrarci degni: si scoprì che non eravamo pronti.
Un fallimento a cielo aperto
Era anche il segno tangibile del fallimento del comunismo. Fino a che le frontiere erano state aperte, folle enormi si riversavano da est ad ovest. Senza computare i tantissimi che già lo avevano fatto fuggendo davanti all’avanzata sovietica, dal 1949 al 1961 passarono da est ad ovest oltre due milioni e mezzo di tedeschi. Solo nel primo semestre del 1961 furono centotrentamila, ovvero ottocento al giorno. I comunisti allora eressero il muro “antifascista” per proteggere l’est dalle minacce fasciste…. Frenarono così un’emorragia che però, malgrado le carcerazioni, le uccisioni (138 mentre cercavano di passare il muro, più un altro centinaio su altri itinerari) portò comunque altri 220.000 cittadini a passare ad ovest prima che il muro cadesse.
Qualcuno fece il tragitto al contrario. Farà notizia, un po’ come l’uomo che morde il cane. Tra questi Horst Kasner che nel 1954 passò ad est con la famiglia. C’era sua figlia neonata Angela che, nota con il cognome del marito, Merkel, diventerà Cancelliera della Germania unificata dopo essere stata giovane comunista ad est.
Un’opa comunista sulla Germania Ovest
Sigillato il muro della vergogna, una strategia comunista per il sovvertimento dell’intera Germania si attivò con scientifico zelo. La DDR (l’est comunista) affidò praticamente per intero la direzione dei suoi apparati alle cellule degli ambienti comunisti che erano stati della Luxembourg e prossimi a Trotsky. La Stasi venne suddivisa in due tronconi, l’HA (controspionaggio interno) guidata dallo stalinista Erich Mielke e l’HVA (destabilizzazione esterna) che era capeggiata da Markus Wolf, amico personale di Henry Kissinger, inserito saldamente negli ambienti trozkisti, operaisti, insurrezionalisti, attivi sia all’ovest che nel Terzo Mondo con notevoli connivenze e coperture nelle strutture dell’Onu. Wolf e l’HVA della Stasi operarono praticamente al cuore del terrorismo e del sovversivismo mondiale, spesso a braccetto con il Mossad, e con oggettive convergenze da parte americana ed inglese, ancor più che sovietica, che pur non mancò.
Il 1967, l’anno della Guerra dei Sei Giorni, rappresentò un momento decisivo cui seguì il 68 tedesco particolarmente inquietante per la psicosovversione che lo caratterizzò.
Il casus belli fu causato il 2 giugno dall’uccisione durante una manifestazione di protesta contro la vista dello Scià a Berlino ovest dello studente democratico Benno Ohnesorg da parte di un agente di polizia, Karl-Heintz Kurras. Gli archivi della Stasi ci diranno molto più tardi che costui è un agente dell’HVA che ha ricevuto l’ordine di uccidere qualcuno per far alzare la tensione.
Cosa che accadrà puntualmente producendo la contestazione studentesca berlinese che anticipava le sessantottine. Sempre dagli archivi comunisti scopriremo che la contestazione era stata preparata certosinamente per dieci anni (dal 1957!) e che a tale scopo vi erano agenti attivi ad ovest (come Ulrike Meinhoff) tra i quali anche dei falsi profughi dall’est (come Rudi Dutschke). In tutta Berlino Ovest la Stasi possedeva una rete di agenti, strada per strada.
La contestazione sospinta dalla Stasi trovò sponda nella Cia. La scuola di Francoforte si pose alla testa dell’ideologia degli studenti imponendo le sue versioni di velenoso marxismo psicoanalitico. Tra i nuovi profeti “filosofi” sappiamo con certezza che il santone Herbert Marcuse era regolarmente e apertamente stipendiato dai servizi americani fin dai tempi dell’Oss, da cui nacque la Cia.
La morsa
Chiusa a tenaglia da questa doppia matrice sovversiva, la Germania rischiò di cadere nel comunismo con l’avvento a cancelliere di Willy Brandt, militante comunista durante Weimar. Egli aveva abbandonato la Germania dopo avere assassinato due SA e, come molti altri della sinistra internazionalista, era entrato nel partito socialdemocratico a guerra perduta.
Tra i vertici dell’Hva, la Scuola di Francoforte e il nuovo Cancellierato c’erano diverse affinità storiche, emotive, ideologiche e programmatiche. Peraltro essendo quasi tutti di origini ebraiche erano animati da un’ostilità netta nei confronti del passato tedesco e dalla convinzione che proprio il modo di pensare dei tedeschi dovesse essere stravolto in quanto colpevole in sé.
L’accordo del 1971 a Oreanda tra Brandt e il premier russo Breznev sarà decisivo per gli anni del terrorismo. Il cancelliere disarmerà di fatto la rete Gehlen che forniva informazioni capitali sul Patto di Varsavia e concederà che, ad occuparsi dell’estrema sinistra europea, al posto dei tedeschi siano gli israeliani, che sono fautori della lotta armata ovunque. Il che si sposa con i piani della Stasi, peraltro, favoriti in Germania Ovest proprio dalla banda Brandt.
La Germania però non muore mai! Il 6 maggio 1974 la Cancelleria criptocomunista crolla perché viene provato che uno dei principali collaboratori e complici di Brandt, Günter Guillaume, è una spia della Stasi. Brandt diventerà presidente dell’Internazionale Socialista, anch’essa a forte vocazione trozkista, ma intanto non potrà fare gli stessi danni di prima.
La Germania in una guerra interna
Helmut Kohl unificherà la Germania e sarà decisivo per la caduta del Muro insieme a Bush sr e Giovanni Paolo II, ma forse in modo strutturalmente più decisivo.
La felicità e la speranza di quei giorni ci sembrano oggi antiche, desuete. Le avanzate della Linke e dell’AfD comprovano che c’è molto scoramento in Germania, specie nell’ex DDR, come d’altronde un po’ ovunque in Europa. Potremmo dire con Bennato che, passati ad ovest, sono finiti in vetrina. Vero è vero, ma è semplicistico. Il fatto è che comunismo e capitalismo hanno una serie di aspetti in comune, soprattutto spiritualmente. Oggi dobbiamo constatare che con il crollo del muro è venuto giù il fantoccio concentrazionario e poliziesco da cui si fuggiva per ondate intere a rischio della vita, però si scopre con raccapriccio che dall’altra parte si trova sempre meno libertà. Perché i posti chiave sono occupati dalla stessa gente che occupava l’est e che agisce con le medesime procedure.
Tutto il nostro stare insieme è determinato in modo rigido e degradante, si è colpevolizzati per qualsiasi identità e libertà. Vietato fumare, demonizzazione del bere, i contanti osservati con sospetto criminalizzante, il pensiero obbligato, i divieti di pensare in modo diverso dalla Community (è lecito domandarsi di quale comunità si tratti). I figli vengono tolti ai genitori in modo arbitrario e disinvolto, come tutti hanno scoperto dalla punta dell’iceberg di Bibbiano; c’è perfino la galera – così è oggi in Germania – per chi cerca di evitare che i propri fanciulli vadano a lezione di gender. La lista è infinita e si continua a stilare senza tregua. Le sarabande di questi giorni a proposito della piroette di Balotelli e dello psicodramma sulla Commissione Segre, ci offrono la misura di come e quanto quello stesso inferno da cui i tedeschi dell’est fuggivano si stia ricostruendo ad ovest. La sola differenza sta nella disponibilità dei beni d’acquisto ma, intanto, ci stiamo proletarizzando tutti e il capitalismo diventa sempre più comunista, mentre nega ogni giorno che passa, qualsiasi libertà.
Abbiamo perfino leggi che impediscono le revisioni storiche in nome di una verità stabilita dall’alto, ma in nome della collettività… Sembrano proprio scritte dalla Stasi e ce le stiamo imponendo tutte senza batter ciglio.
Mentre la Cancelliera della Germania unita, nonché possibile premier europeo, è un prodotto del partito comunista dell’est…
Confidiamo nel Volksgeist
Ne dobbiamo dedurre che Brandt ha preso di nuovo il sopravvento su Kohl?
Se è così serve allora una profonda scossa tedesca per compiere nuovamente il miracolo di trent’anni fa. E non giovano di sicuro le germanofobie andreottiane d’accatto, magari “sovraniste”, e men che meno i sogghigni con i quali si accompagna il refrain per il quale era meglio quando le Germanie erano due perché noi saremmo stati per questo meglio, il che tra l’altro è falso.
Così si è fuori strada di brutto perché, dal punto di vista dell’infezione sovversiva e dello strapotere dei commissari politici, l’Italia non sta per niente meglio della Germania, anzi! In compenso la sua storia dimostra che non ha capacità reattive di massa ma solo elitarie. Ecco perché la liberazione dai nuovi muri antifascisti dovremo, ancora una volta, realizzarla insieme, noi e loro.
Siano benedetti quel 9 novembre 1989 e poi l’unificazione tedesca che ne susseguì trascinando seco l’alzata di testa, sia pur timida, dell’Europa rispetto all’egemonia americana.
Berlino è un simbolo che non può essere messo in discussione.
I muri antifascisti devono cadere, tutti, come quello berlinese: in preda ai loro fallimenti.