domenica 1 Settembre 2024

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Ursula von der Leyen si è presentata a Davos a riportare un po’ di un orgoglio europeo. Un orgoglio però di nuova generazione, non più fondato solo sulla riconciliazione post-bellica, sul grande mercato, o sui tentativi più o meno riusciti di superare le crisi finanziarie e migratorie dell’ultimo decennio. Tutto questo per la nuova presidente della Commissione europea adesso è il passato. Von der Leyen è soprattutto interessata a presentare un’agenda per il futuro: fatta di politiche “soft” come la lotta al cambio climatico o la protezione dei dati, certo, ma anche di un’inedita propensione a mostrare i muscoli e far intravedere minacce sui Paesi terzi in un contesto internazionale sempre più darwiniano.

L’inconfessabile sollievo
Il contrasto fra la nuova presidente della Commissione europea e Donald Trump, che si è affacciato sullo stesso palco appena ventiquattr’ore prima, non avrebbe potuto essere più marcato. Ma non si capisce questa nuova assertività europea di Von der Leyen senza gli eventi degli ultimi anni: il bullismo del presidente degli Stati Uniti in materia di dazi e commercio, e anche il senso di un (inconfessabile) sollievo di essersi liberati di un socio di Londra sempre pronto a frenare o fermare il convoglio europeo. Von der Leyen qui a Davos ha subito riconosciuto che il multilateralismo tradizione del dopoguerra è “sotto attacco” – parole sue – ma di questo non ha dato la colpa (solo) al presidente degli Stati Uniti. Il nuovo clima contrario al coordinamento fra Paesi e alle istituzioni internazionali, ha detto von der Leyen, “non nasce da un Paese ma da un sentimento diffuso” di milioni di persone che si sentono escluse dalla globalizzazione o minacciate dalle tecnologie.

I maxi-investimenti in Europa
A questo Von der Leyen oppone quella che chiama una “risposta inclusiva con l’ambiente al primo posto. Qui ci sono ovviamente i progetti di maxi-investimenti per un’Europa verde che diventi leader mondiale dell’innovazione su questo fronte (“la nostra nuova strategia di crescita”). Ma c’è anche una certa capacità, nuova, di mostrare i denti agli avversari: Von der Leyen ha voluto parlare a lungo della cosiddetta “Carbon Border Adjustment Tax”. Dietro il nome complesso e opaco, c’è un dazio unilaterale all’importazione, che l’Europa promette di mettere a tutti i concorrenti internazionali sui prodotti che non siano fabbricati secondo gli standard ambientali rigorosi dell’Europa stessa. Protezionismo “verde”, ma pur sempre protezionismo per difendere le imprese europee dall’aumento dei costi e dalla perdita di competitività che affronteranno nella transizione verso produzioni meno inquinanti. “Preferisco che i nostri partner internazionali facciano come noi – ha avvertito Von der Leyen – ma in caso contrario ci dev’essere un gioco alla pari”.

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