Il loro declino relativo per il momento è proprio relativo
Gli Stati Uniti d’America continuano a fare progressi nelle “guerre stellari” con la dichiarazione d’operatività iniziale del sistema radar “Space Fence” sito nell’atollo di Kwajalein nelle isole Marshall e dipendente dalla struttura del 20° Space Control Squadron (SPCS) dell’U.S. Air Force.
Il 27 marzo, nel momento in cui il generale di brigata DeAnna Burt ha messo la sua firma sulla dichiarazione, si è aperta una nuova fase per la difesa spaziale. Una firma, questa, pesante come un macigno ma che sui media di mezzo mondo è passata quasi inosservata.
Sviluppato a partire dal 2009 nell’ambito di un programma da 1,5 miliardi di dollari con l’obiettivo di rilevare satelliti artificiali e detriti nell’orbita terrestre, lo “Space Fence” è un sistema di rilevamento di seconda generazione, nonché il più avanzato tecnologicamente.
Se il “balzo in avanti” degli Stati Uniti in ambito di tecnologie spaziali può aiutare a garantire una maggiore sicurezza per i satelliti a rischio costante di collisione con detriti spaziali ed artificiali ormai presenti intorno alla Terra, nasce innanzitutto come risposta militare e politica alle potenze rivali nella “scramble to Space” come Russia e Cina.
Non possono essere infatti fraintese da questo punto di vista le parole del tenente colonnello David Tipton, comandante del 20° SPCS, contenute nel comunicato ufficiale delle forze spaziali di Washington: “Lo spazio è ora riconosciuto come un’area di dominio congestionata e contestata e Space Fence è l’evoluzione dei nostri sforzi per mantenere la superiorità nello spazio”.
In altre parole il sistema “Space Fence” è un deterrente alle mire di Mosca e Pechino – ma da non sottovalutare anche i rischi per i programmi spaziali europei – nello spazio e risponde chiaramente all’esigenza di tenere sotto controllo i movimenti sospetti dei loro satelliti e, di fatto, lo sviluppo dei programmi di esplorazione e colonizzazione “tra le stelle” diversi da quelli statunitensi.
La vera novità di “Space Fence” rispetto al suo predecessore “Air Force Sourveillance System” è la capacità di tracciare oggetti piccoli (“come una biglia” si legge nel comunicato ufficiale) con orbite basse che per la loro invisibilità ai vecchi sistemi costituivano una costante ed imprevedibile minaccia.
Il sistema “Space Fence” fornisce dati sul traffico spaziale aggiornati in tempo reale al 18° SPCS di Vandenberg (California) che poi provvede a “catalogare” oggetti volanti come satelliti, razzi e detriti sia naturali che artificiali così da poter schermare i satelliti militari operativi statunitensi sia manovrabili che non manovrabili.
Ad oggi sono circa 26.000 gli oggetti volanti catalogati nello “Space Sourveillance Network” del Dipartimento della Difesa ma con “Space Fence” si conta di aumentare significativamente il loro numero. La “banca dati” di “Space Fence” garantisce la sicurezza orbitale e allerta la Difesa statunitense in caso di eventi concatenati che possano rappresentare una potenziale minaccia tanto per il Nord America quanto per gli alleati della NATO.
L’accenno agli alleati – un must nell’ambito della comunicazione istituzionale delle Forze Armate statunitensi – lascia immaginare che vi possa essere una minima condivisione d’informazioni ma che, nei fatti, l’ombrello protettivo resti d’esclusiva gestione americana e quindi ad uso e consumo di Washington e dei suoi interessi nel quadro d’una politica spaziale che si fa sempre più competitiva e dove pare che la Casa Bianca abbia deciso di adottare una strategia interventista nello stesso momento in cui i “boots on the ground” sembrano perdere di peso come opzione tattica e strategica tra i circoli militari e politici americani.