giovedì 18 Luglio 2024

Buon viaggio Pietro

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altIl congedo da una vita esemplare

Pietro Tiberi è partito per il viaggio più lungo, quello che ci attende tutti e che s’intraprende da soli.
Ad accompagnarlo fino all’ultimo porto terrestre una folla immensa e commossa.
Raramente ho visto piangere così tanta gente ad un funerale. Raramente ho percepito così tanto sentimento, pathos e amore. Raramente ho palpato così tanta rabbia per un’ingiustizia fatale.
Silenzio e commozione alla camera ardente. Il suo corpo massiccio, vigoroso, che sprigionava ancora una vitalità fuori dal comune, alla fine è stato nascosto alla nostra limitata vista di mortali. Subito prima che la bara fosse chiusa, una bandiera con la Runa di Tir, quella del Comandante Dimitri, ha avvolto il suo fedele amico e camerata. Il figlio maggiore si è tolto la propria Runa di Odal dal collo e l’ha posta a quello del Padre.
Alla chiesa di Casal Palocco la messa di congedo. Durante l’intera funzione sei camerati in camicia nera hanno formato il picchetto d’onore al feretro.
Un silenzio surreale ha avvolto le due o trecento persone presenti.
Come facessero ad essere lì non si sa bene. Il funerale combinato in quarantott’ore, sotto ferragosto, non aiutava di certo. Eppure, benché la maggioranza degli astanti fosse in ferie, è riuscita comunque a venire, a qualunque costo, con qualunque mezzo. Rientrata da ogni regione italiana, dall’Alto Adige come dalla Calabria. Ma anche dall’estero, dalla Francia come dalla Grecia.
Non c’è stato bisogno del passa parola, ognuno ha fatto da sé. Nessuno voleva mancare. Troppo aveva dato Pietro a tutti e specialmente alla Comunità perché si potesse concepire l’idea di mancare l’appuntamento.
Come hanno fatto notare i camerati del suo Villaggio Azzurro nelle loro parole di congedo, è qualcosa di atemporale, di carnale e di spirituale che spiega quest’unità commossa e totale.
Un’unità commossa e totale che trascende e travolge le differenze di ogni tipo per accomunare tutti in qualcosa di diverso e di significante.
Non è  “tanatofilia” e neppure quella scanzonata e irriverente provocazione della morte allo scopo di esorcizzarla che Giano Accame ha così ben registrato ne “La morte dei fascisti”. E’ qualcosa di differente, di spirituale anche se con qualche aspetto totemico. E’ qualcosa di atemporale e di vincolante. Qualcosa che non credo proprio si ritrovi in nessun altro ambiente e che esprime una forza, una bellezza, una profondità anche viscerale che trasfigura color che han militato in anni di fuoco e che si son temprati. Che poi, individualmente, magari molti di essi si siano incattiviti, immeschiniti, ripiegati in individualismi, inaciditi, talvolta persino bacati, è un’altra storia. Ma è una storia che cessa completamente quando il Noi – un noi vissuto, ovviamente, e non un noi concettuale – prende il posto degli io e li trasfigura. E’ un’alchimia, è una magia. E’ in questi momenti che sono davvero grato al Gene e al Fato di aver concesso che la mia vita scorresse all’interno di questa realtà al contempo clanica, tribale, nazionale e metafisica. Ed è bello che questa sensazione, che di certo non è mia né solo mia, l’abbia provata così pienamente quando ci siamo congedati da qualcuno che proprio per questo si è impegnato durante tutta la sua vita esemplare.
Ed è con questa miscela di felicità e dolore che gli abbiamo potuto tributare il Presente!
Essere presenti ancora e sempre, presenti con Lui e come Lui: questo il compito da domani.
Buon viaggio Pietro, guidaci anche tu dalla schiera celeste e solare degli angeli “maledetti”.

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