giovedì 18 Luglio 2024

FLAGELLUM DEI, SERVUS DEI

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Appunti “revisionisti” sulla figura di Attila re degli Unni. Contro i pregiudizi sulla “barbarie asiatica” e sulle “orde assetate di sangue”, alla riscoperta di un grande impero eurasiatico.

Quell’Attila che fu flagello in terra
Dante, Inf. XII, 134



Turbinò infesto con il suo esercito
soggiogatore il grande Attila,
allor che predava le terre
del nemico e imponeva il tributo.
I suoi trionfi ancor spaventano
perfin di Roma l’altero popolo;
la pace gli chiesero, ed ecco
lui fu pronto, magnanimo, a darla.
Mihaly Vörösmarty, 1818 (trad. C. M.)



“Su un’aspra via, per una notte oscura, – chissà il destin dove ci porterà… – Guida ancor la tua gente alla vittoria, – principe Csaba, sul sentier celeste!” (1). Sono i primi versi del Székelyhimnusz (Inno székely), che viene cantato ancor oggi da una popolazione di 350.000 – 400.000 anime insediata sui Carpazi orientali. Il principe Csaba invocato nell’Inno è il figlio che Attila avrebbe avuto da una figlia dell’imperatore Onorio. Secondo una leggenda, prima di “andare a cercare nuovi alleati nelle terre degli antenati, in Asia, e ritemprare la spada di Dio nelle onde del vasto Oceano” (2), Csaba lasciò a guardia della Transilvania una parte del suo popolo, i Székely (it. Siculi o Secleri; Zaculi e Ciculi nei documenti latini) (3), i quali si sono tramandati l’attesa di un suo futuro ritorno, sicché Csaba costituisce una manifestazione dell’archetipo del Dux rediturus, al pari di altri personaggi: Artù, Carlo Magno, Federico I e Federico II Hohenstaufen, Muhammad al-Mahdi…


La spada di Dio, alla quale Csaba doveva restituire vigore perché si era macchiata del sangue di suo fratello Aladár (figlio di Ildikó, la Chriemhilt nibelungica), è quel medesimo gladius Martis che i re sciti ritenevano sacro. Ne parla il retore bizantino Prisco di Panion, citato da Giordane:


“Un mandriano, osservando che una giovenca della sua mandria zoppicava e non trovando la causa di così grave ferita, segue attentamente le tracce di sangue. Finalmente arriva a una spada, che la giovenca, pascolando l’erba, aveva incautamente calpestata; la estrae dal suolo e la porta subito ad Attila. Questi si compiace del dono e, nella sua grandezza d’animo, ritiene di essere destinato a diventare il signore del mondo intero e che attraverso la spada di Marte sia concesso a lui di avere in mano le sorti delle guerre” (4).


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