Il mio ricordo del guerriero sorridente Costamagna, o “le soldat baraka”
Correva, come si dice, l’anno 1988 ed era qualche giorno prima del Natale.
Come di consueto con tutti i familiari provenienti da Roma passavo due settimane in un appartamento sulla Costa Azzurra. Io arrivavo prima, avendo amici speciali a Nizza, due fratelli.
Una sera qualcuno mi condusse in un locale dove s’incontravano Reduci della guerra.
Dopo meno di un quarto d’ora potevo riconoscere quelli che avevano combattuto da quelli che avevano avuto un ruolo secondario: questi ultimi parlavano costantemente di sé e della guerra, quegli altri no.
Fernand Costamagna apparteneva a questi ultimi.
Ne ho conosciuti diversi che hanno combattuto sul Fronte dell’Est. A quattro combattenti della Grande Armée ho dedicato Pensées Corsaires l’edizione francese del mio Tortuga. Da allora son passati tredici anni, Fernand era l’ultimo rimasto vivo fino a ieri.
Ne ho conosciuti diversi, nessuno di loro si è mai vantato delle sue gesta, parlavano soltanto, e sempre con ironia, delle situazioni buffe in cui si erano trovati, a un passo dall’essere fucilati o in preda alla fame nei campi di prigionia.
Scoprirne le imprese è sempre stata un’impresa, mai del tutto riuscita.
Ma vivere accanto, anche solo qualche ora, a gente così profonda, fedele, asciutta eppur sensibile e generosa, non è stato soltanto un privilegio: è stata una ineguagliabile felicità di cui sono grato ai miei inquisitori che mi hanno regalato una vita come dev’essere e mi hanno fatto raggiungere la libertà, quella che intendevano togliermi avendo fatto confusione sul concetto.
Fernand e sua moglie hanno riempito la mia vita, quelle di mia moglie, di mio figlio (nato come lui un 15 luglio) e di altri camerati che non li scorderanno mai. Così serafici e allegri da essere solari, per usare nel senso corretto un termine oggi inflazionato per definire chiunque a casaccio. Non in questo caso, però.
Ho avuto l’immenso onore di vederli venire ad ascoltarmi in alcune circostanze. Siamo andati insieme ad alcune commemorazioni che hanno un valore molto diverso da quello che s’immagina e che gli si dà in certe esibizioni, pur lodevoli, dei giorni d’oggi.
Abbiamo incontrato persone stupende e vissuto momenti davvero commoventi.
Qualsiasi cosa dicessi, qualunque aneddoto raccontassi, non potrei rendergli giustizia come si deve.
Voglio ricordarlo quando nel 2003, dopo una settimana passata a Roma in cui poté fare conoscenza di tanti giovani entusiasti, lo accompagnai con la moglie all’aeroporto di Fiumicino.
Gli organizzammo in assoluta discrezione una scorta d’onore fino all’imbarco. Chi se ne occupò ha poi fatto strada ma sicuramente quello fu uno dei migliori ricordi della sua vita.
Ricordo quando Fernand, passato il controllo bagagli, si voltò a guardarmi: nel suo sguardo e nel suo sorriso c’era la soddisfazione di chi aveva ricevuto la prova che il loro sacrificio non era stato dimenticato e che nella profondità e nel silenzio una continuità ideale era ancor viva, oltre le lingue e le bandiere. Il problema per tutti è esserne all’altezza: egli l’esempio ce lo ha fornito.