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Alberto e Stefano

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Ancora due scie di sangue parallele

 

Il 10 gennaio 1979, praticamente nell’anniversario di Acca Larentia, il diciottenne Alberto Giaquinto veniva ucciso da un colpo di pistola alla nuca esploso da un sottufficiale delle forze dell’ordine contro la manifestazione non autorizzata che appunto in ricordo dei Caduti dell’anno prima, si teneva a Centocelle, in Roma.
Dopo decenni la famiglia Giaquinto avrebbe vinto la causa, Alberto avrebbe ottenuto la menzione ufficiale di “vittima degli anni di piombo” e sarebbe stato deciso un rimborso pecuniario, mai peraltro pagato dallo Stato di Equitalia.
Massimo Morsello, reo di essere testimone diretto dell’uccisione di Alberto ed essendosi rifiutato di modificare la versione dei fatti, che sarebbe poi stata confermata dalla sentenza civile, era stato frattanto incriminato per quella manifestazione e condannato a ben dieci anni di prigione, dicasi dieci, per il reato di “devastazione”.
Nello stesso giorno, sempre a Roma ma nel quartiere di Montesacro, veniva assassinato un altro ragazzo, Stefano Cecchetti, che, erroneamente scambiato per un militante neofascista, veniva abbattuto a colpi di pistola dalle forze del disordine in un bar che gli assassini credevano, non si sa sulla base di cosa, che fosse un “ritrovo di fasci”.
Con tutta probabilità il diciannovenne ucciso per errore fu vittima della cieca rabbia dell’ultrasinistra per l’affronto subito di aver dovuto sopportare in quel quartiere, in quel pomeriggio, un presidio di Terza Posizione organizzato in memoria di Acca Larentia nell’allora rossa piazza Sempione in cui non si erano più tenute manifestazioni nere da un quindicennio.
Un’onta da lavare nel sangue.
In modo molto più confuso e spontaneo il copione di un anno prima era tornato così a ripetersi: forze dell’ordine e forze del disordine aprivano il fuoco contro fascisti o supposti tali.
Allora non era reato.
Quando tornò ad esserlo, almeno nominalmente, non si trasformò mai in pena.
Quale memoria dovremmo mai condividere?
E con chi?

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