Home Note Alla ricerca del sogno perduto

Alla ricerca del sogno perduto

0


Il cinema inizia ad accorgersi che si stava besser quando si stava schlechter

Torna Locarno, torna Piazza Grande. Lo schermo più bello e grande d’Europa apre, come sempre, le danze del festival ticinese, arrivato alla sua edizione numero 65. Dopo il noir (anti)poliziesco The Sweeney con un Ray Winstone in gran forma, anticipato dall’Excellence Award Möet & Chandon a una sempre irresistibile Charlotte Rampling, arriva Lore di Cate Shortland.
Un’opera che fa subito capire che anche quest’anno il direttore Olivier Pére non cerca scorciatoie ma preferisce film di spessore, dall’approccio diverso, che possano suscitare discussioni e forse anche polemiche. La regista australiana, che viene dal melodramma erotico-adolescenziale Somersault, sull’educazione emotiva e fisica di una sedicenne, qui rimane sulla linea d’ombra di un’età difficilissima, ma in tutt’altro contesto. In Lore, infatti, attraversa la Germania liberata attraverso il viso splendido ed espressivo di Saskia Rosendahl, qui nella parte della figlia più grande di un gerarca nazista, giovane hitleriana convinta. Perché si sa, le colpe dei padri ricadono sui figli, soprattutto quando tengono in sé orrori come l’Olocausto, la persecuzione, un’educazione alla morte e all’odio di granitica ottusità e abitudinaria ferocia. Coraggiosa la regista a voler raccontare la fine della seconda guerra mondiale dalla parte “sbagliata”, dalla parte di chi fugge dai “liberatori”, probabilmente giusto poco più crudeli del regime precedente.
Una fuga per la mancata vittoria finale, in cui nei momenti migliori del film ci si trova a parteggiare per una ragazza orgogliosamente antisemita- persino quando un ebreo o presunto tale la aiuta a sopravvivere-, di una nazista nostalgica nonostante la giovane età. O forse proprio a causa di essa. Un’interessante e originale punto di partenza che poteva preludere a un lungometraggio controverso ma appassionante. La cineasta però si perde in una regia convenzionale- tra ralenti decisamente anacronistici e primi piani scontati- e non penetra la contraddizione che ha messo in campo, ispirandosi alla novella Dark Room di Rachel Seiffert ma l’accarezza con superficialità. Cerca di commuoverci senza muoverci dalle nostre posizioni, non ci fa davvero dimenticare il contesto in cui avviene questo on the road a piedi verso il nord della Germania, alla ricerca di una falsa salvezza a casa della nonna.
Non si analizza la condizione di una donna-bambina che ha due fratellini e una sorellina da salvare, anche a scapito della propria vita, si segue solo distrattamente la loro storia, con momenti di umorismo involontario. Perché il dramma, quando non viene ben raccontato, diventa inevitabile commedia. Un bel progetto, insomma, che non trova la sua vera modalità espressiva, forse anche perché una storia del genere é troppo difficile da raccontare, se non impossibile. Anche l’empatia ha i suoi limiti, per quanto possano essere brave e talentuose una regista e un’attrice. 
 
 
 

Nessun commento

Exit mobile version