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Almeno chiedete loro scusa

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Una memoria venduta per trenta danari

Toccherà a quelli che si sono fatti sequestrare con un atto illegale due soldati italiani sotto al naso, si sono fatti irridere da India e Ue e si sono fatti un vanto della propria insipienza politico-diplomatica. Toccherà a quelli che ammettono ormai apertamente di essere vassalli impotenti di un padrone che viene dall’altra parte dell’oceano e che oltre a dettare legge si fida anche poco del nostro servilismo e perciò ci spia per vedere se eseguiamo bene ed eseguiamo tutto, senza che la cosa generi la seppur minima protesta. Toccherà ai fautori di ogni schiavitù, ai distruttori di ogni memoria, agli iconoclasti di ogni simbolo nazionale.

Toccherà – in poche parole – ai vari Napolitano, Letta, Grasso, Boldrini, Kyenge, Alfano rendere omaggio oggi ai sei milioni di combattenti della Grande Guerra e ai settecentocinquantamila morti tra caduti in guerra (seicentottantamila) e civili. Tanto basterebbe per ridare vita alle proteste di qualche decennio fa da parte di estrema sinistra, radicali e cattolici contro la ricorrenza del 4 novembre, stavolta però non per spirito antinazionale e antimilitarista, come accadeva allora, bensì per vergogna, per non consumare l’ultimo tradimento sulle rovine fumanti delle trincee.

4 novembre: già Festa della Vittoria, oggi, pudicamente, “Giorno dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate”. Non, beninteso, perché la vittoria del 1918 sia stata introiettata tanto da farsi puro simbolo della nazione, quanto piuttosto per un fenomeno di rimozione. Parole come “guerra” o come “vittoria” scatenano infine troppi complessi, troppi nodi irrisolti. Si procede allora con il curioso compromesso lessicale che trasforma le guerre in operazioni di pace e i soldati in operatori umanitari. Quanto erano più onesti, i politici di oggi, quando avevano venti anni e davano vita alle proteste di cui sopra, esprimendo l’odio per la nazione senza attenuazioni, senza remore, con rinfrancante sincerità. E quanto è invece avvilente vederli oggi quando la stessa polarità spirituale e le stesse idee politiche di allora le annacquano nella retorica istituzionale e neodemocristiana.

Il programma di quest’anno prevede caserme e musei militari aperti, concerti di bande e fanfare e poi il passaggio delle Frecce Tricolori sui cieli della Capitale, durante la deposizione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di una corona di alloro sulla tomba del Milite Ignoto in memoria dei caduti e dei dispersi di tutte le guerre. Ce la caviamo così ed è già tanto, visto che il prossimo anno l’anniversario si farà ben più pesante e che l’Italia ci arriverà da pezzente. Qualche settimana fa, infatti, facevamo notare come l’Italia si stia avvicinando al centenario della Grande Guerra, previsto per il prossimo anno, con zero euro stanziati per l’evento, esponendosi a una figuraccia di proporzioni epiche rispetto alle altre nazioni, per tacere di quella rispetto a se stessa, la sua storia e i suoi caduti. È il simbolo dello stato della nazione: una memoria venduta per trenta denari, per farsi scippare infine persino quelli.

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