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Biden e gli europei che deve tenere a bada ma non sa bene come

«L’America tornerà». L’Europa se lo sente dire da due anni. E a prometterlo prima da candidato, ora da presidente, ci ha sempre pensato Joe Biden.
Ora è tempo di dimostrarlo.
Anche perché mentre Biden prometteva di tornare l’Europa continuava ad allontanarsi. Lo dimostra il dato sullo scambio commerciale Cina-Ue reso noto solo 72 ore fa. Quel dato conferma come Pechino abbia sostituito Washington sul podio di primo partner dell’Europa. Al sorpasso hanno contribuito sicuramente i dazi di Trump, la pandemia e le vendite di mascherine cinesi. Il dato non si sarebbe, però, mai concretizzato senza il contributo di una Germania pronta a tutto pur di rafforzare gli scambi con la Cina e garantire un futuro alle proprie case automobilistiche. Nella corsa ad oriente della locomotiva tedesca il passaggio più intollerabile per Biden resta l’accordo sugli investimenti concordato da Bruxelles e Pechino a fine dicembre.

Deciso d’intesa con la Francia di Emmanuel Macron poche settimane prima dell’insediamento del nuovo presidente, l’accordo è considerato un vero e proprio sgambetto ai piani della Casa Bianca per il contenimento del Dragone. E ad aumentare la ruggine con Berlino contribuisce il progetto, quasi concluso, del North Stream 2: il gasdotto destinato a rafforzare i legami energetici tra la Germania e una Russia nel mirino strategico di Washington. Un’altra grande crepa sul fronte delle relazioni atlantiche resta la fallimentare sortita di Josep Borrel – l’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue corso a Mosca dopo la condanna del dissidente Alexei Navalny, ma liquidato dal ministro degli esteri russo Sergei Lavrov come il rappresentante di un’Europa ormai «inaffidabile». Un fiasco che oltre a confermare l’irrilevanza europea ha sostanzialmente vanificato il progetto di un piano congiunto tra Washington e Bruxelles per mettere all’angolo Vladimir Putin.

E a rendere ulteriormente guardingo Biden contribuisce la penetrazione orchestrata da Pechino sfruttando il cosiddetto 17+1, la piattaforma commerciale creata per facilitare investimenti e scambi tra la Cina e 17 paesi dell’Europa centrale e Orientale. Nonostante le pressioni dissuasorie degli Usa l’invito ad un vertice con il presidente Xi Jinping organizzato a Pechino ai primi di febbraio ha visto solo le defezioni di Bulgaria, Romania, Slovenia, Estonia, Lettonia e Lituania. La partecipazione di ben 11 Paesi con delegazioni di alto livello ha, alla fine, confermato la crescente penetrazione cinese in Europa orientale.

Comunque se Washington resta diffidente anche Bruxelles esita ad allargare le braccia. A rallentare gli entusiasmi di un’Europa sempre pronta, finché c’era Trump, a rimpiangere il passato, contribuiscono le mosse del nuovo inquilino della Casa Bianca. Tra i primi decreti presidenziali firmati da Biden spicca un «Buy American» (Compra Americano) che punta a convogliare sul mercato interno i 600 miliardi di dollari spesi ogni anno dal governo statunitense per l’acquisto di prodotti e servizi. Un progetto a favore delle aziende messe in ginocchio dal Covid che molte cancellerie europee considerano non molto diverso dall’«America First» di trumpiana memoria.

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