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Anche nella scultura tutto è chiaro

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Dopo l’antichità c’è solo il fascismo

“Oggi gli scultori non fanno che tentare variazioni su temi ai quali, uno per uno, gli antichi hanno già dato scacco matto”. Con queste parole il maestro Arturo Martini condensava, all’inizio degli anni ’30, tutta la fascinazione per la classicità che ispirò un decennio di arte italiana. Ma se in quell’epoca il regime fascista faceva della romanità un uso propagandistico, alcuni artisti, dallo stesso Martini a Francesco Messina, da Emilio Greco a Venanzo Crocetti, sfidavano gli “ideali nazionalistici” per ritrovare nell’antico un modello ideale e uno spirito umanistico genuino. Ed è questo rapporto che vuole indagare la mostra “L’antico nel moderno. Scultura italiana negli anni Trenta”, un panorama inedito di trenta opere della collezione della Galleria nazionale d’arte moderna, nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano, in stretta sinergia con le 15 statue antiche di atleti e divinità delle terme romane. 
Moderno e antico si inseguono in un allestimento teatrale, firmato dall’architetto Fabio Fornasari: su una struttura bianca a ferro di cavallo, poggiano i lavori ispirati al tema del mito e del corpo. Spicca il gruppo bronzeo “Affrico e Mensola”, l’ultima opera di Libero Andreotti, seguito dall'”Edipo” e dal “David” di Basaldella. Poi il bozzetto dell'”Athena” di Martini per la grande statua della Sapienza e il “Torso” di Giovanni Prini che ripensa il torso del Belvedere. Liberi dalla “nuvola” bianca, poggiati su piedistalli come 
un pubblico, sfilano i ritratti: il “Lucosius” di Marino Marini e il “Ragazzo” di Martini, ispirati alle forme arcaiche della statuaria etrusca. 
“Le sculture etrusche e romane diventano cardini di riferimento da cui non è possibile prescindere  –  spiega la curatrice Mariastella Margozzi  –  La sfida dei nuovi artisti è dimostrare di saper infondere lo spirito antico alle creazioni che vogliono rappresentare l’attualità”.

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