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Aprendemos a quererte

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Trentasette anni fa veniva ucciso per la prima volta, dalla rozza reazione, il Comandante Che Guevara. Da trentasette anni è ucciso ogni giorno dall’impudicizia della borghesia progressista.

L’otto ottobre di trentasette anni fa cadeva in un’imboscata Ernesto Guevara detto il Che. Ferito al ventre, veniva lasciato agonizzare fino alla morte che sarebbe  sopraggiunta per dissanguamento nelle prime ore del giorno successivo. Da allora Che Guevara è divenuto un mito, una leggenda e, purtroppo, soprattutto un prodotto di marchandising.


Il Che si ritrova ovunque: stampato sulle t-shirts della borghesia più annoiata, dipinto nei pins, tatuato sulle braccia del miliardario Maradona, stampato sugli striscioni delle tifoserie che si pretendono orientate a sinistra. Emblema di una trasgressione formale, di un nostalgismo scialbo, il Che viene ucciso ogni giorno da quella borghesia decadente contro il cui strascicato dominio di classe aveva deciso, egli, indomito leone, di ruggire e morire.


Lo aveva ucciso una prima volta la reazione rozza e feroce che vestiva la casacca dei militari boliviani. Lo ha poi iniziato ad uccidere una seconda volta, senza mai smettere di commettere il crimine, facendone scempio, il tifo del popolo “progressista” che con la rivoluzione del Che nulla, ma proprio nulla ha in comune.


E intanto, controcorrente, discretamente, con delicatezza, molti di coloro che avrebbero dovuto odiarlo hanno maturato una passione per questo condottiero.


Il Che infatti aveva affascinato ancor prima della sua epica morte, e cioè sin dal tempo in cui si era messo in viaggio verso l’utopia più impossibile, molti di coloro che  a sinistra non avevano alcuna intenzione di militare, che stando alla logica dei clichets che impera nella società dello spettacolo, e, quindi  nello spettacolo della politica, avrebbero dovuto essere i suoi più accaniti nemici.


Oggi che i tempi sono cambiati sono in tanti, tra quelli che hanno scelto di tifare per l’ultradestra, a detestare visceralmente il guerrigliero perché in un’ottica speculare con i centri sociali, non possono non disprezzare quel che gli altri incensano. Se tu dici a io dico b, se dico b, tu dirai c: una stupidità diffusa e oramai persino comprensibile.


Allora però che le passioni erano vive e non virtuali, il Che fece breccia nei nostri cuori. Fece breccia ispirando a uno dei più acuti e brillanti pensatori dell’estrema destra francese, Jean Cau, il magnifico “Una passione per il Che”, un libro che in esilio fu tra i preferiti e più riletti di Walter Spedicato, il quale, d’altronde, provava per il Che una passione non certo inferiore a quella di Cau.


Aveva fatto breccia immediatamente dopo la sua barbara uccisione nei cuori dell’allora fascistissimo Bagaglino che produsse persino un 45 giri veramente double face. Conteneva da una parte “Il legionario di Lucera” e dall’altra “Addio Che”.  Spiegava, il Bagaglino, nel retro copertina, la ragione che l’aveva spinto a rendere quest’omaggio a due figure così opposte in apparenza: la

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