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Asterix compie sessant’anni

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E non è come lo si percepisce qui

Il 29 ottobre 1959 faceva l’esordio su Pilote il piccolo gallo Asterix
Gli italiani credono che sia un po’ come il Rambo di Hollywood: un’invenzione francese per spacciare le disfatte come vittorie. Ritengono che sia la vendetta virtuale del gallo che rosica per il dominio romano. Ma non è vero.
Il punto è che gli italiani, vuoi perché non hanno accesso ai testi in lingua originale, vuoi perché non conoscono l’humour francese, difficilmente hanno potuto coglierne il senso.
Con le parole di uno dei due autori, Goscinny nel 1967: “i galli che noi rappresentiamo sono golosi, ridicoli, disordinati, un po’ sciocchi, tutt’altro che superuomini”.
Effettivamente i fumetti di Asterix esprimono la presa in giro, benevola ma spietata, dei francesi da parte di se stessi; e certificano al tempo stesso la scoperta dell’identità che non tramonta mai.

Questo miracolo è il frutto dell’incontro fortunato tra il cosmopolita nomade Goscinny e il fiero corso Uderzo. Un’intesa tra dinamismo e staticità che ha prodotto l’alchimia di un identitarismo plurale che attraversa il tempo e lo spazio.
La morale di fondo del loro capolavoro è proprio la perennità dell’essenza che attraversa i secoli.
Così vengono rappresentati i corsi, i britanni, i normanni, i goti, gli iberici, gli elleni, gli elvetici, con tutti i difetti e tutte le qualità che corrispondono a ciascuno di loro.
Tra i britanni che sospendono i combattimenti per godersi la “calda acqua con una nuvola di latte”, gli iberi fieri e indomabili, gli elleni pigri e pieni di sé, è proprio quest’identità che ha il sopravvento e che si esprime magistralmente in modo particolare in Asterix il Legionario.
Una saggezza. Ho avuto modo, nel mio peregrinare, di scoprire che nei paesi celti si ha la tendenza a prendere pause o giorni di festa il mercoledì. Il dio celta principale, Lug, era assimilato a Mercurio. L’Inghilterra dei picti adorava la Luna ed oggi ha inventato i Bank Holidays di lunedì. A Roma, ancora recentemente, si dava il giovedì libero alla servitù. Certe cose restano nel dna e nella memoria profonda. La Tradizione che non si cancella. Goscinny e Uderzo lo colsero e lo espressero in modo egregio.
Lo fecero con raffinata ironia e con grande maestria di testi e disegni.

Furono tra i primi a esprimere il movimento con pochi tratti di lapis, come si evince in modo particolare nelle scene di zuffa, dove le calzature rimaste in terra mentre chi è colpito vola, hanno segnato una svolta in materia. Contemporaneamente inserirono nelle tavole caricature di personaggi noti al pubblico francese, fino a infilare i Beatles tra i britanni. Gli stessi nomi originali dei personaggi sono perlopiù intraducibili perché, traducendoli, se ne perde il senso comico.
Asterix e Obelix – la figura più caricaturale in assoluto – sono i francesi che ridono di se stessi nel modo in cui i francesi ridono di se stessi, che è particolare, eccezionale e notevole. C’è la presa in giro dei provinciali e quella dei parigini, si ride delle gelosie sociali, e delle rivalità.
Gli autori c’inzuppano il biscotto: il villaggio che non si è arreso si trova “da qualche parte in Gallia”. E lo piazzano tra Bretagna e Normandia, giocando sull’intramontabile rivalità tra le due regioni che ancora si contendono, tra le altre cose, il Mont Saint-Michel.
L’amorosa presa in giro si manifesta anche nella storia ripetuta dei pirati di Asterix. I quali fanno sempre naufragio e poi vanno a chiedere il rimborso! Chi ha lavorato in Francia può capire, chi non lo ha fatto non ci riuscirà.

I romani, ovviamente, sono maltrattati da Asterix, Obelix & co, ma risultano sempre simpatici e non è in quanto romani ma in quanto forze dell’ordine che vengono benevolmente malmenati.
D’altronde Goscinny e Uderzo dimostrano di essere tutt’altro che ostili all’idea dell’Impero Romano nel quale il villaggio si pone come fiero, autonomo e identitario ma non ostile per partito preso.
Va tenuto conto che di tutti i personaggi di Asterix solo uno è al tempo stesso bello e intelligente: Guilio Cesare. Non può essere un caso.
Il messaggio lanciato sessant’anni fa dai due autori è di prim’ordine oltre che di alta qualità.
La sola domanda che è lecito porsi con preoccupazione è se oggi, ventuno secoli dopo il periodo in cui il fumetto è ambientato, questa perennità delle identità che permangono al di sotto e al di sopra  delle sovrastrutture è ancora possibile di fronte al rischio di sostituzione di popolazione che conosciamo ai giorni nostri. Dobbiamo chiederci se non siamo destinati a crearci un villaggio anche noi, ma, questo, non farà ridere.

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