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Quattrocentoundici anni fa il rogo di Giordano Bruno

Il 17 febbraio 1600 perisce sul rogo, in Campo de’  Fiori a Roma, Giordano Bruno, condannato come “eretico”.
In realtà durante tutto il processo intentatogli, Bruno si definisce sempre come un filosofo e non come teologo. Rifiutava l’accusa di eresiarca: infatti non predicava, ma diceva di ricercare la verità sul principio primo dell’Universo. Abbiamo visto tuttavia le implicazioni teologiche del suo sistema: se ci sono molti tipi umani, Adamo non è più il padre comune dell’umanità e non ci può essere redenzione universale. E d’altra parte se l’Universo non è più chiuso e finito, prodotto totalmente distinto e distante  dalla Divinità, ma infinito e senza confini, esso ha troppi attributi della Divinità medesima: un terribile concorrente di Dio. L’infinità dell’Universo comporta che il motore di esso non è estrinseco all’Universo (la teoria del “motore immobile” aristotelico-tomistica riceve così un duro colpo) ma intrinseco ad esso medesimo, non fuori, ma dentro l’Universo medesimo. L’Infinito secondo Bruno poneva d’altra parte un altro problema, altrettanto acuto. Essendo l’universo un’emanazione di Dio, esso è di conseguenza l’unico mediatore tra l’uomo e la divinità. Per Bruno, la vera eucaristia è la comunione con la Divinità attraverso la contemplazione dell’Universo.
Troppo per non perire.
Nel 1929, dopo la firma dei Patti Lateranensi, Pio XI proverà ad esigere la rimozione della statua che si trova sulla piazza dov’è stato suplliziato.
Al rifiuto di Mussolini di rimuovere il ricordo dello sventurato monaco il papa reagirà santificandone l’inquisitore, Roberto Bellarmino.

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