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Caso Moro: fuochino!

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Infine ci si è avvicinati!

Ma non si tratta di un’ambasciata in senso proprio. Si tratta di una forma particolare di “extraterritorialità”. Il luogo è un magazzino di stoffe nel ghetto a due passi da un particolare palazzo nobiliare. Il misterioso intermediario di Rocca e Fasanella mette abbastanza a luce quella situazione.

Basandosi sul possibile valore simbolico dell’assassinio, molte ricostruzioni dell’uccisione di Aldo Moro hanno provocato una distorsione dei fatti. Via Caetani (dove quarantuno anni fa venne trovata la Renault 4 rossa contenente il cadavere dello statista) non è situata come erroneamente viene sempre ripetuto, ”a metà strada tra via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù”.
Via Caetani è una traversa di via delle Botteghe Oscure che si trova in senso opposto rispetto alla direzione che porta a piazza del Gesù.
Eppure il potere evocativo di quell’abbandono è stato così enfatizzato da radicarsi nell’immaginario collettivo e nel senso comune, al punto di ”ridisegnare” la mappa di quella parte del centro storico di Roma.
Molto più probabilmente la strada, via Caetani, come sillabò Valerio Morucci un paio di volte al telefono (”Ca- e -ta- ni, Caetani”) al professor Tritto nell’indicare il luogo in cui recuperare il corpo di Moro, fu scelta perché verosimilmente molto vicina all’ultima prigione e al luogo dell’esecuzione, e immediatamente raggiungibile, senza particolari rischi, da parte degli assassini.
A dicembre 2018 si è conclusa la desecretazione degli atti della Commissione Parlamentare d’inchiesta della scorsa legislatura. E convergenti elementi forniti da monsignor Fabio Fabbri, braccio destro del cappellano capo delle carceri don Cesare Curioni, dal magistrato genovese Luigi Carli, dai taccuini di quei giorni drammatici della giornalista Sandra Bonsanti, dal figlio dal sottosegretario Nicola Lettieri che gestì il comitato di crisi del Viminale durante i 55 giorni, portano infatti a ritenere che l’ultima prigione di  Moro fosse nelle immediate vicinanze della via Caetani, dove fu rinvenuto il suo cadavere.
Ad esempio, nelle testimonianze rese alla Commissione Moro 2, presieduta da GiuseppeFioroni, il 31 maggio e il 7 giugno 2017, il professor Gaetano Lettieri, ha affermato che nei dialoghi in famiglia, sia pure senza particolari esplicativi, il padre si riferì alla prigione di Moro con questa frase: ”Ci stavamo seduti sopra”.

“Ci stavamo seduti sopra”
Una frase significativa anche della conoscenza che al Ministero dell’Interno si aveva circa il luogo di detenzione dello statista sequestrato dalle Br.
Di un’ ultima prigione di Moro in un’ambasciata del centro di Roma ha parlato monsignor Fabbri nella sua testimonianza finale ai magistrati consulenti della Commissione il 6 dicembre 2017.
Don Fabbri afferma: “Voglio riferire un aspetto su cui mi riferì Curioni. Nei risvolti dei pantaloni dell’on. Moro al momento del ritrovamento del suo cadavere, fu rinvenuto del terriccio che io so essere del terriccio riconducibile ad una cantina di un’ambasciata che all’epoca trovava sede nei pressi di via Caetani. Ambasciata attualmente non più attiva. Non sono in grado di riferire su quali basi Curioni avesse queste informazioni”.
“Curioni − ha dichiarato ancora il monsignore − fu chiamato subito da Paolo VI non appena Moro venne rapito”. Curioni non era infatti solo il responsabile nazionale dei cappellani delle carceri. Sua nonna era la sorella di latte di Achille Ratti, cioè papa Pio XI, e per questo membro della famiglia pontificia.
Fu addirittura Curioni che indicò Pasquale Macchi a Montini come segretario, dopo la nomina ad arcivescovo di Milano. Questo spiega la sua particolare prossimità a Paolo VI e conoscenza dei misteri dei 55 giorni.
Roma è l’unica capitale al mondo che possa vantare un numero doppio di rappresentanze diplomatiche rispetto a quelle degli altri paesi. Oltre le ambasciate presso lo Stato italiano, infatti, sono presenti nella capitale italiana, anche le ambasciate presso la Santa Sede, considerate in ambiente diplomatico molto più importanti dal punto di vista geo-strategico, vista la valenza globale del Vaticano.
Un esponente di punta del Pci dell’epoca come Ugo Pecchioli temeva il coinvolgimento nel sequestro di Moro di qualche ambasciata estera e, in particolare, dell’ambasciata della Cecoslovacchia. Questi sono i timori annotati sul suo taccuino dell’epoca dalla Bonsanti, consegnati in copia alla Commissione, a quel tempo capo della redazione romana del “Giorno”, il quotidiano dove scriveva i suoi editoriali Aldo Moro.
Ma l’ambasciata cecoslovacca presso l’Italia era situata in via dei Colli della Farnesina (come riportato nell’Annuario parlamentare della VII Legislatura), quindi in altra parte della città. Mentre quella presso la Santa Sede a quei tempi (come attestato oggi dalla segreteria della sede diplomatica), non esisteva a motivo del regime comunista in vigore nel paese tra il 1950 e il 1990.

L’ambasciata al centro di Roma
Nella porzione di centro storico vicino a Via Caetani, (escludendo quindi l’ambasciata spagnola presso la Santa Sede di piazza di Spagna), in base agli Annuari parlamentari, agli Annuari pontifici, e all’Annuario della Chiesa cilena, c’erano all’epoca tre ambasciate o residenze coperte dal privilegio diplomatico.Nella Guía de la Iglesia en Chile, 1979, ma pubblicata nel 1981, c’è un riferimento secondo cui l’ambasciata cilena presso la Santa Sede era in via Tor de’ Specchi al civico 18/A, in un palazzetto di proprietà della Congregazione degli operai della divina pietà, con sede in piazza Monte Savello 9, un piccolo edificio posto tra il vicolo Margana e l’ingresso secondario del Palazzo Fani Pecci Blunt di piazza Aracoeli.
Un dato in contrasto con il fatto che Cancelleria presso la Santa Sede è registrata nell’Annuario Pontificio del 1979 (relativo quindi al 1978) in piazza Risorgimento 55, vicino a San Pietro. La residenza dell’ambasciatore cileno è invece riportata − nell’Annuario Pontificio di quell’anno − in corso Vittorio Emanuele 24, nel seicentesco Palazzo Ruggeri, quasi all’angolo con via dell’Arco dei Ginnasi, anche detto dell’Arco delle Botteghe Oscure, perché immette sulla via delle Botteghe Oscure all’altezza del Palazzo Caetani.
L’ambasciata del Cile presso l’Italia nel 1978 era fuori del centro storico propriamente detto, in via Panisperna.
A Palazzo Caetani ha sede, dal 1969 e ancora a tutt’ oggi, la residenza dell’ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede.Mentre l’ambasciata presso l’Italia era già allora in piazza Navona.
Negli annuari diplomatici conservati presso la Biblioteca della Camera e del Senato italiano si fa anche riferimento , sempre con collocazione nella parte del centro storico di Roma limitrofa a via Caetani, all’ambasciata dell’Argentina presso la Santa Sede nel Palazzo Patrizi (in questo caso con insieme cancelleria e residenza dell’Ambasciatore) in piazza San Luigi de’ Francesi, sul retro di Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica. L’ambasciata oggi è invece in via della Conciliazione 22.

“Una macchina parla se la si lascia parlare”
L’11 maggio 1978 la Bonsanti anticipa proprio su «Il Giorno» «i risultati dell’autopsia di Moro, eseguita la sera stessa del 9 maggio e che erano stati definiti ‘sconvolgenti’ ».E cioè : lo statista non era stato ucciso in auto; l’omicidio era avvenuto in una casa della medesima via Caetani o a essa vicina. Sul suo taccuino di cronista Bonsanti annota e aggiunge che il suo interlocutore (indicato come un maresciallo del gruppo di Luigi De Sena, allora capo del I Distretto, quello sotto la cui giurisdizione cade tutto il centro storico di Roma), metteva in evidenza “il pericolo di viaggi lunghi con il morto dietro”.
Nel taccuino viene citato lo stesso De Sena : “Un morto parla e parla anche la macchina, (chilometri, da dove è passata…) se la si lascia parlare”.Nel primo anniversario della strage (16 marzo 1979) Bonsanti firma sempre sul Giorno un’intervista a un “uomo del Generale Dalla Chiesa” il quale sostiene che probabilmente l’auto in via Caetani giunse “da un luogo molto vicino”.
“Nora” non era solo la moglie di Moro
Infine il magistrato genovese Luigi Carli, coinvolto nelle prime indagini sulla strage avvenuta il 28 marzo 1980 in via Fracchia, dove era rimasto ucciso il vero capo militare delle Br, cioè Riccardo Dura, ha riferito alla Commissione di avere appreso dalla terrorista Fulvia Miglietta che Aldo Moro era stato tenuto prigioniero in un sito prossimo al luogo dove venne abbandonato il suo cadavere. La Miglietta, che era la donna di Dura, disse al magistrato di essere venuta a conoscenza di tale circostanza a Roma, dove aveva partecipato a una riunione di brigatisti. Per tragica ironia del destino il nome di battaglia della Miglietta era lo stesso nome della signora Moro, cioè «Nora».
Fatti nuovi emergono quindi dalle ultime indagini della Commissione Moro 2 e dagli atti ormai pubblici. E, secondo la testimonianza di monsignor Fabbri Moro, venne ucciso inuma cantina di un’ambasciata che allora era vicina a via Caetani. Questo naturalmente, se verificato, apre a un nuovo inquietante scenario internazionale del delitto, commesso in una data significativa , il 9 maggio, anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale.
Sì, come disse il sottosegretario Lettieri, sull’ultima prigione di Moro, in cui venne barbaramente assassinato,istituzioni,politici e partiti ci stavano proprio ″seduti sopra”.

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