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Cenerentola senza scarpetta

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Gli stipendi aumenteranno in tutta Europa ma in Itallia no

Forte crescita degli stipendi in vista nei prossimi trimestri nella zona. Queste le stime della Bce che, complice un un’impennata dell’inflazione che ha causato una “notevole” perdita di potere d’acquisto dei consumatori, si aspetta una revisione verso l’alto degli stipendi in Eurolandia.
“La crescita degli stipendi nei prossimi trimestri dovrebbe essere molto forte rispetto ai modelli storici”, osservano gli economisti dell’Eurotower ricordando come il mercato del lavoro resti “solido”. non avendo risentito troppo del rallentamento economico. Al di là del breve termine, comunque, la frenata (se non la recessione) attesa per la zona euro e l’incertezza sulle prospettive economiche per l’area potrebbero “esercitare una pressione al ribasso sulla crescita dei salari”.
Tutto questo per far fronte ad una situazione, quella attuale, a svantaggio per i lavoratori, i cui salari reali “sono ora sostanzialmente inferiori rispetto a prima della pandemia” e potrebbero diminuire ulteriormente nei prossimi mesi.
Per la Bce a stimolare la domanda di salari più elevati non sarebbe solo la perdita di potere d’acquisto a causa dell’inflazione, ma anche la rigidità del mercato del lavoro e l’attuale situazione economica. A novembre 2022, il tasso di disoccupazione della zona euro è rimasto stabile rispetto al mese precedente al minimo storico del 6,5%, secondo i dati pubblicati oggi da Eurostat, dati che rappresenta un valore dello 0,9% inferiore al livello precedente alla pandemia (7,4% a febbraio 2020).
Situazione esplosiva in Italia

Se questa previsione potrà valere per gli altri Paesi, in Italia la situazione delle retribuzioni dei lavoratori appare ben più drammatica.  Secondo il Global Wage Report 2022-23 presentato dall’Ilo, Organizzazione internazionale del Lavoro, nel 2022 gli stipendi dei lavoratori italiani in termini reali gli stipendi sono risultati più bassi del 12% rispetto al 2008. Si tratta della performance peggiore tra le economie del G20.
Allo storico divario tra i nostri stipendi e quelli dei nostri partner vanno sommati la stangata del caro-prezzi sopra le due cifre, oltre allo stallo del mancato rinnovo di contratti collettivi di primo piano. Sono circa 6,8 milioni su 12,8 i lavoratori del settore privato che hanno un contratto scaduto al 31 dicembre scorso. Si tratta di lavoratori che appartengono a categorie che fanno riferimento ai 30 più importanti accordi collettivi scaduti su 591 non rinnovati. In sostanza, la metà dei dipendenti del privato si trova a ricevere retribuzioni che risalgono anche a anni fa e che hanno scontato una perdita del potere d’acquisto negli ultimi due anni di caro prezzi.

Su questo sale il pressing delle parti sociali sul governo per l’apertura quanto prima di un tavolo sull’emergenza dei salari bassi, all’indomani del dato Istat registrato a dicembre di un aumento dei prezzi dell’11,6% in un anno.  La Cgil di Maurizio Landini e la Uil di Pierpaolo Bombardieri sono scesi in piazza a dicembre con scioperi territoriali contro la manovra del Governo Meloni, chiedendo all’esecutivo di alzare la tassa sugli extraprofitti per finanziare un taglio sostanzioso del cuneo.

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