E’ in libreria – ce ne ha parlato due giorni fa Vittorio Macioce – Quel tintinnar di vendette, cernita di opinioni dell’ex presidente Scalfaro sulla giustizia.
Il libro è un inganno perché suggerisce l’immagine di un Oscar Luigi garantista. Non lo fu mai. Né da capo dello Stato, né dopo quando ha volteggiato come un folletto girotondino. Due parole sulla cornice. Cura l’antologia Guido Dell’Aquila, giornalista di fiducia di Oscar Luigi. Già all’Unità, poi quirinalista del Tg3, Dell’Aquila seguì Scalfaro ai tempi del mandato e ha pubblicato nel 2006 un suo libro intervista sulla Costituzione. L’introduzione è di Gustavo Zagrebelsky, ex giudice costituzionale nominato da Scalfaro. Dello stampo dei Violante e dei Caselli, è presidente di Libertà e Giustizia il movimento di Carlo De Benedetti.
Non è l’Olimpo del garantismo, per cui fa impressione leggere con questi avalli le bacchettate scalfaresche alle toghe. Il libro pullula di critiche all’abuso di intercettazioni (“è normale che un cittadino venga spiato di giorno e di notte?”), agli avvisi di garanzia (“nato per proteggere la persona, a volte la uccide”), ecc. A scorrerlo, sembra di ascoltare le intemerate del Cav contro i magistrati. Né lui, né i suoi amici avrebbero potuto dire meglio: la separazione delle carriere? “Non è un dramma”; le luci della ribalta? “Sporcano le toghe” e così via.
Tutto filerebbe se non conoscessimo Scalfaro. Conoscendolo però, tutto crolla. Gli alati pensieri del libro non sono mai messi a confronto con i reali comportamenti del pensatore. Il risultato è un monumento all’ipocrisia: il tentativo a posteriori di sbianchettare la penosa soggezione di Oscar Luigi ai giudici milanesi di Mani pulite.
Provò a riabilitarsi già nel 2008 quando la magistratura fece cadere Prodi con le accuse al guardasigilli Mastella, poi archiviate.
Intervenendo a difesa del governo, Scalfaro rievocò il noto avviso di garanzia al premier Berlusconi durante il vertice Onu del ’94 a Napoli. Osservò:
“Ci fu un tempismo singolare. Oggi come allora la domanda è dove fosse l’urgenza. Sono fatti come questi che contribuiscono ad alimentare la sfiducia dei cittadini”. Si svegliava fuori tempo massimo. Quando, 14 anni prima, quell’avviso arrivò, Scalfaro non fece una piega. Né una parola di solidarietà al Cav, né un richiamo al Pool di Milano di Francesco Saverio Borrelli che ne aveva curato la regia. Finse anzi di cadere dalle nuvole. Mentendo. Già sapeva infatti dalla sera prima che il Cav sarebbe stato messo in mutande davanti al mondo. Era stato lo stesso Borrelli ad avvertirlo con una telefonata al Quirinale. Oscar si mise sull’attenti e tacque. Fosse per il timore di contraddire l’esimio interlocutore o per sadico piacere, lasciò imperterrito che la bella improvvisata napoletana facesse il suo corso.
Quegli anni – ’93 e ’94 – sono pieni di cedimenti scalfareschi al populismo giudiziario. Nel braccio di ferro tra magistratura e politica, Oscar Luigi si schierò con la prima, ritenuta irresistibile, contro i colleghi. Superò se stesso nel settembre del ’93. Il Parlamento aveva respinto la richiesta d’arresto della procura napoletana del liberale Francesco De Lorenzo accusato di tangenti mentre era ministro della Sanità. Scalfaro, tutto dalla parte delle toghe e infuriato per la bocciatura, tuonò: “Un suicidio del Parlamento. Un voto intollerabile” e minacciò di sciogliere le Camere. De Lorenzo, fu poi condannato a cinque anni. Anni dopo però, la Cassazione stabilì che la sentenza era illegittima per violazione delle norme sul giusto processo. Più volte in quegli stessi mesi, Oscar Luigi, facendo l’occhiolino ai giudici, bastonò i politici. Memorabile il suo: “I corrotti dicano tutto, restituiscano il maltolto e rinuncino all’elettorato passivo”.
Divenuto magistrato in Rsi non esitò a condannare subito dopo a morte imputati repubblicani. Questo è l’uomo, con tante maschere, tutte profondamente serie, una per ogni faccia, una per ogni stagione.