lunedì 15 Settembre 2025

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Lo smart working si conferma un potente strumento di inclusione nel mercato del lavoro italiano, in particolare per le donne e per i territori del Sud. A rivelarlo è uno studio condotto da un gruppo di economisti di Bankitalia, che ha analizzato l’impatto dello smart working sull’occupazione a partire dalla sua ampia diffusione durante la pandemia. Secondo la ricerca, il lavoro da remoto ha portato a un incremento sia del tasso di attività che di quello di occupazione. Gli effetti sono particolarmente marcati tra le donne in età compresa tra i 25 e i 45 anni, spesso impegnate nella cura dei figli. In contesti dove i servizi per l’infanzia sono carenti, la possibilità di lavorare da casa ha rappresentato un’opportunità concreta per conciliare vita privata e professionale.

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Un’opportunità anche per il Mezzogiorno Gli effetti positivi dello smart working si registrano anche nel Mezzogiorno e nelle zone meno densamente popolate, aree dove l’accesso al mercato del lavoro è storicamente ostacolato da fattori logistici e infrastrutturali. Il lavoro da remoto ha ridotto significativamente queste barriere, facilitando l’ingresso o il reinserimento nel mondo del lavoro.
Donne e città: chi lavora di più da remoto L’analisi di Bankitalia si basa su un ampio database amministrativo che copre l’intera popolazione di lavoratori in smart working. I dati mostrano che il fenomeno è più diffuso nelle regioni del Nord e nelle grandi aree urbane. Sono le donne a ricorrere di più al lavoro agile rispetto agli uomini, a conferma della sua utilità in termini di inclusione.
Infine, lo studio esclude che i risultati siano dovuti a tendenze preesistenti: non emergono infatti segnali di miglioramento nei dati precedenti all’introduzione massiva dello smart working. Questo rafforza l’idea che il lavoro da remoto abbia avuto un impatto diretto e concreto sull’occupazione, rappresentando una leva importante per colmare divari territoriali e di genere.
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