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Ci riprovano

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Pianificazione verde

Le delegazioni dei 196 Paesi partecipanti alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità in Canada, la cosiddetta COP15, hanno raggiunto un accordo in cui, tra l’altro, si impegnano a proteggere, entro il 2030, almeno il 30% della superficie del pianeta per preservare la biodiversità. Inoltre, si impegnano ad assicurare che le aree dedicate all’agricoltura, all’acquacoltura, alla pesca e alla silvicoltura siano gestite in modo sostenibile, aumentando in maniera sostanziale l’uso di pratiche rispettose della biodiversità.
L’accordo contiene anche l’impegno ad agire su terra e mare affinché la perdita di aree di grande importanza per la biodiversità sia prossima allo zero entro il 2030, nel rispetto, allo stesso tempo, dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Di seguito, comunque tutto quello che c’è da sapere sul summit.

30% del pianeta protetto
È l’obiettivo chiave del testo: “che, entro il 2030, almeno il 30% delle aree terrestri, delle acque interne e delle zone costiere e marine sia effettivamente conservato e gestito”. Ciò avverrà “attraverso reti di aree protette ecologicamente rappresentative, ben collegate ed equamente gestite” e “assicurando al tempo stesso che qualsiasi uso sostenibile sia pienamente compatibile con gli obiettivi di conservazione”.
L’obiettivo è quindi globale e non nazionale, il che implica che alcuni faranno più di altri, o magari si faccia di più sulla terraferma che in mare. Da notare che questo 30% è un minimo per gli scienziati e le ong, che invece ritengono sia necessario il 50%. Ad oggi, sono protetti il 17% delle terre emerse e l’8% dei mari.

20 miliardi di dollari all’anno in aiuti internazionali
Le trattative si sono a lungo incagliate sul braccio di ferro tra Nord e Sud del mondo: il ‘leit motive’ dell’accordo è che le ambizioni ecologiche debbano essere accompagnate da sussidi internazionali, e viceversa. Ebbene, il testo enuncia l’obiettivo per i Paesi ricchi di fornire “almeno 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025, e almeno 30 miliardi di dollari l’anno entro il 2030”, ovvero circa il doppio e poi il triplo dell’attuale aiuto internazionale per la biodiversità. L’obiettivo -e questa è una novità- ricade sui “Paesi sviluppati, e sui Paesi che volontariamente si assumono gli obblighi dei Paesi sviluppati”, membri della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD): una formulazione che consente -si augura l’Ue- di coinvolgere gli Stati Uniti, che non sono firmatari della Convenzione, e apre la strada all’inserimento della Cina o degli Stati arabi tra i donatori. La COP15 approva infine la creazione di un nuovo ramo del Global Environment Facility (GEF), dedicato all’applicazione dell’accordo Kunming-Montreal.

Ripristinare il 30% dei terreni degradati
Secondo la Fao, un terzo della terra è “moderatamente o pesantemente degradato” dall’attività umana. Per rimediarvi, il testo prevede “che, entro il 2030, almeno il 30% degli ecosistemi terrestri, dei mari interni e degli ecosistemi costieri e marini degradati sara’ oggetto di effettivo ripristino”.

Quadro di applicazione
Quasi nessuno degli obiettivi fissati nel precedente accordo, siglato nel 2010 ad Aichi (in Giappone), nel 2020 era stato portato a termine. Per evitare il ripetere del fallimento, dunque, i Paesi hanno adottato un meccanismo comune di pianificazione e monitoraggio, con indicatori precisi; con la possibile revisione delle strategie nazionali, se i Paesi non sono sulla strada giusta.

Partecipazione agli utili
L’accordo non sarebbe mai stato approvato senza progressi su quella che i Paesi del Sud del mondo denunciavano come “un’ingiustizia” subita: ovvero l’assenza di condivisione dei profitti realizzati dal Nord con i medicinali o i prodotti cosmetici derivati dalle risorse biologiche nel Sud del mondo. Queste risorse sono diventate miliardi di dati genetici digitalizzati a beneficio quasi esclusivo della ricerca e dell’economia dei Paesi ricchi. Adesso il testo prevede l’istituzione di “un meccanismo globale per la condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle informazioni di sequenza digitale (ISN/DSI) delle risorse genetiche, compreso un fondo multilaterale”.

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