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Col Fund te ce Recovery

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Se puntiamo sempre e solo sugli altri non andremo da nessuna parte

Solo un quarto dei 500 miliardi previsti dal Recovery Fund potrà essere speso dai Paesi in difficoltà, Italia in primis, nella fase più acuta della crisi. A rivelarlo è uno studio dell’economista del think tank Bruegel, Zsolt Darvas. Per poter spendere il restante 75% si rischia di dover aspettare ben due anni e mezzo, a partire dal 2023, quando potrebbe essere troppo tardi per prendere di petto le conseguenze economiche dell’epidemia da coronavirus.
Da giorni, in vista del Consiglio Ue del 19 giugno, si moltiplicano gli appelli per arrivare a un rapido accordo sullo strumento per la ripresa proposto a maggio dalla Commissione Europea, composto da 250 miliardi di prestiti e, soprattutto, 500 miliardi di sovvenzioni. Anche la presidente della Bce Christine Lagarde ha chiesto ai Paesi Ue di fare presto. I tempi però rischiano di essere lunghi. Prima di tutto sul fronte politico: all’Ecofin di martedì alcuni Paesi hanno ufficializzato la loro contrarietà, già emersa nelle scorse settimane, su diversi aspetti della proposta di Ursula von der Leyen, dalla ripartizione alla tipologia di aiuti. La tempestività dell’iniziativa europea appare però viziata all’origine.
Secondo il report di Bruegel da qui al 2022 potrà essere speso solo il 25% dei 500 miliardi stanziati dal Recovery Fund,  ovvero la parte in sussidi che fa gola all’Italia dal momento che una parte non dovrà essere restituita e, trattandosi di trasferimenti diretti, non ha impatto diretto sul debito pubblico. Ma i programmi operativi finanziati dal Bilancio Ue vengono prima progettati, poi approvati e infine attuati. E’ un processo lento che vale per tutti gli strumenti di finanziamento della Commissione, e vale anche per il Recovery Fund. Dall’analisi degli allegati alle varie proposte di Bruxelles sui diversi strumenti finanziati attraverso il fondo, si vede come il 78% degli “impegni” di spesa venga effettivamente concordato nel lasso di tempo che va dal 2020 al 2022.
“Tuttavia, la Commissione prevede che appena il 24,9% della nuova potenza di fuoco in sovvenzioni verrà speso nel periodo 2020-2022, quando le esigenze di una ripresa economica saranno maggiori”. Per quanto riguarda il Recovery and Resilience Facility (lo strumento più importante del fondo, composto da 334 miliardi di sussidi) nel 2021 saranno sì impegnati 131 miliardi ma Bruxelles stima di pagarne solo 19. Nel 2022 su 134 miliardi impegnati prevede di pagarne solo 53. I soldi veri inizieranno a essere sborsati solo nel 2023 (78 miliardi), nel 2024 (87 miliardi) e infine nel 2025 (59 miliardi). Venticinque miliardi nel 2026 e così via, calando. A questi vanno sommati i restanti 100 miliardi di sussidi dirottati, nella proposta di von der Leyen, su strumenti già esistenti a disposizione della Commissione ma la cui erogazione è contingentata seguendo tempistiche analoghe al RRF.
Ciò non toglie che un Paese possa, in attesa dell’arrivo dei fondi Ue, anticipare autonomamente (cioè emettendo nuovo debito) le risorse che prevede di ottenere dal Recovery Fund. Bisogna tuttavia ricordare che qualora un Paese richieda l’accesso dovrà concordare un dettagliato piano di riforme con Bruxelles sulla falsariga – nell’idea della Commissione – di quelle “suggerite” nelle Raccomandazioni specifiche per Paese. Per l’Italia non si può escludere che queste raccomandazioni riguardino anche la disciplina fiscale, riduzioni del debito e ritocchi alle pensioni, come peraltro richiesto ieri ufficialmente dal governo olandese durante i colloqui dell’Ecofin. Non solo: i soldi saranno versati a rate, ma se la Commissione dovesse ritenere che gli obiettivi non sono stati raggiunti potrà sospenderne l’erogazione.

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