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Complici e mandanti

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Si dica la verità

Qualche riflessione è d’obbligo sul rinvio a giudizio dei presunti mandanti della strage di Bologna, tutti morti (Gelli, Ortolani, Tedeschi, D’Amato) e, insieme a loro, del presunto terrorista nero Paolo Bellini, del generale Spella (Sisde) e del carabiniere Segatel (entrambi per depistaggio) e, per false informazioni, di quel Catracchia che amministrava via Gradoli, covo Sisde del sequestro Moro che attraverserà gli anni dei misteri fino all’incidente di Marrazzo.
Il primo dato che salta agli occhi è che si è fatto un minestrone. Perché, quand’anche ci possa essere stata una regia unica, gli apparati che rispondevano all’Interno (Sisde, Polizia) e quelli che rispondevano alla Difesa (Sismi, Carabinieri) non hanno mai collaborato tra loro in modo organico e ancor meno nel logistico. Tra i deceduti indicati come mandanti ne manca  poi palesemente qualcuno che a maggior titolo ci poteva rientrare e forse qualche grande vecchio ancora vivo.
Chi scrive non intende assolutamente prendere le difese di quel verminaio che – per inciso – organizzò ben tre tentativi d’incriminazione, con tanto di elementi falsi, a suo danno. Ed è anche convinto che quel gotha di “servizi deviati” abbia delle responsabilità che vanno oltre i depistaggi sulla strage, visto che si attivarono, anche a suo danno, già tre settimane prima che questa venisse  consumata. Segno, questo, che sapevano qualcosa di troppo.
Chi scrive sarebbe quindi felice che un’inchiesta sui mandanti – o quantomeno sui complici illustri – della strage venisse realmente svolta.

I servizi coprivano la sinistra
Il problema è che l’inchiesta così come si presenta sembra tesa a soffocare tutte le scoperte intercorse nel frattempo, quali le presenze documentate di terroristi rossi, le rivelazioni emerse dalle perizie sull’esplosivo e sul cadavere spacciato per quello della scomparsa Fresu. Potrebbe servire da parafulmine per i colpevoli perché chi dice P2 e Supersismi per riflessi condizionati intende fascisti o terroristi neri ed esclude gli altri.
Peccato che tutti i depistaggi operati da quella gente siano stati contro i fascisti e a copertura delle presenze di tutt’altra parte. Il primo fu confezionato da Silvano Russomanno, vicedirettore del Sisde, mentre si trovava detenuto nel carcere di Regina Coeli per favoreggiamento delle Brigate Rosse. Tra gli organizzatori dell’operazione “Terrore sui treni” spicca Pietro Musumeci, dirigente del Sismi, che alcuni pentiti hanno riconosciuto nel Dottor Santini, ovvero un agente doppio legato al Kgb. Tra coloro che bonificarono lo scenario alla stazione troviamo il capitano dei Carabinieri Pandolfi che attiverà poi il depistaggio Ciolini che si concluderà nel tentativo di eliminazione fisica degli esponenti di Avanguardia Nazionale.
L’equazione P2 – neofascisti è un capovolgimento della realtà oggettiva.
La partecipazione di vertici dei “servizi deviati” alla strage è plausibile ma non è affatto incompatibile con la pista rossa.

Un terrorista a sorpresa
Veniamo ora al Bellini, a questo “terrorista nero”.
Si rivela come tale quando si accusa dell’omicidio del compagno reggiano Alceste Campanile. Lo fa da pentito e senza pagare dazio, con una versione che non ha mai convinto i familiari della vittima.
La sua confessione è provvidenziale perché il giovane ucciso si era posto domande imbarazzanti sul sequestro Saronio e sulla strage dell’Italicus. Per il sequestro finirà in carcere proprio uno dei rossi indicati nell’inchiesta Sgrò sull’attentato al treno, l’avvocato Corrado Costa, legato ai servizi cechi. Un altro, il professor Scolari, si troverà suicida alla vigilia del suo interrogatorio proprio per il caso Campanile, prima che il Bellini lo chiuda con la sua provvidenziale confessione.
Il Bellini in realtà ha un curriculum di bandito, di killer, di infiltrato nella mafia e nella ‘ndragheta per conto dei Ros. Di fascista ha davvero poco. Una presunta appartenenza ad Avanguardia Nazionale, di cui però non conosce né incontra nessuno, tranne, s’insinua, Piero Carmassi di Massa Carrara, che non è un dirigente del movimento ma che, soprattutto, lo smentisce categoricamente davanti agli inquirenti.
Protetto da ambienti massonici, dopo un tentato omicidio e una plastica facciale, vive tra l’Emilia e il Brasile e compie traffici illeciti. Nel frangente incontra un senatore di destra, Cremisini, di fede monarchica, ma frequenta anche due preti di sinistra, don Braglia e don Artoni che si candida nel partito comunista. Gode anche dell’amicizia illustre di Ugo Sisti, Procuratore di Bologna.

Totò Riina
Reo confesso di dieci omicidi, il Bellini operò per conto dei Ros in Sicilia durante il periodo della trattativa Stato-Mafia.
Subito prima della sentenza per la mancata strage presso lo Stadio Olimpico di Roma, Totò Riina chiese d’intervenire spontaneamente e disse la sua verità che è quella che segue.
Le stragi mafiose sarebbero state suggerite dall’esterno, tramite un contatto attivato da Francesco Di Carlo, detenuto in Inghilterra e cugino del mafioso Nino Gioè.
Il Di Carlo avrebbe vantato amicizie in diversi servizi segreti e avrebbe suggerito di ascoltare il Bellini. Che, secondo Riina, avrebbe mal consigliato e ingannato Cosa Nostra, nel senso che ci lascia dedurre. E per conto di chi ci lascia dedurre.
Non sappiamo se questo enigmatico Bellini fosse davvero a Bologna il 2 agosto del 1980 né se abbia avuto un qualsivoglia ruolo in quella vicenda. Sappiamo però che con i fascisti non c’entra per niente e che, anche in questo caso, la sua eventuale partecipazione non escluderebbe quella di uomini dell’Orchestra Rossa.
Ci auguriamo quindi che si proceda realmente per far luce sulle complicità illustri di quella strage, accantonando definitivamente i sillogismi e i partiti presi che, a furia di fascistizzare tutto, impediscono di dire la verità.

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