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La Compagnia delle Indie sta riprendendosi il diritto unico di fare bottino

I monsoni stanno finendo e comunque si sono calmati, i festeggiamenti per la conclusione del mese sacro islamico del ramadam terminati e gli attacchi ai mercantili nel golfo di Aden sono ricominciati. La petroliera battente bandiera cipriota ma con equipaggio russo se l’è cavata per miracolo, perché il suo comandante, nonostante le scariche di mitra dei pirati, ha manovrato a zig zag creando alte onde impedendo l’arrembaggio. Salvato invece dalla fregata australiana Toowoomba il mercantile BBC Portugal che aveva lanciato l’SOS mentre stava per essere attaccato. In suo soccorso è intervenuto un aereo giapponese e un elicottero tedesco. Gli assalitori hanno gettato fuori bordo le armi e le scalette di cui erano dotati e negato qualunque coinvolgimento nel tentato sequestro.
La coalizione antipirateria, una settantina di navi da guerra, dunque, comincia a funzionare. Tra le navi impegnate nel pattugliamento delle acque di fronte al Corno d’Africa anche la fregata italiana Libeccio, al comando di Alberto Sodomaco. Durante la navigazione negli ultimi giorni tra Mombasa e le Seychelles, il Libeccio non ha incontrato pirati, ma solo un mercantile, battente bandiera indiana, che appare sullo schermo dei radar in piena notte. Solo dopo qualche ora, all’alba, la sua sagoma, indefinita, sbuca all’orizzonte. Ufficiali e sottufficiali di turno in plancia imbracciano i binocoli per cercare di capire di chi si tratta. I pirati somali non usano solo barchini veloci per dare l’arrembaggio a battelli commerciali (cargo o passeggeri) ma si servono anche di navi madre, imbarcazioni più grosse, pescherecci o rimorchiatori catturati in precedenza e per i quali nessuno ha mai pagato il riscatto. Le navi madre servono a rifornire di cibo, acqua e carburante, i motoscafi veloci che vengono impiegati per dare l’assalto alle vittime. Gli uomini del Libeccio attivano l’AIS (Automatic Identification System). Si tratta di un apparecchio che comunica con uno analogo sistemato a bordo di tutti i mercantili sopra le 500 tonnellate e che funziona come una sorta di targa elettronica. In plancia di comando ufficiali e sottufficiali controllano i dati e lo scambio di informazioni viene ritenuto sufficiente. Niente di sospetto. Gli ufficiali italiani chiedono al comandante del cargo indiano se ha messo in atto tutte le procedure di sicurezza. La risposta è positiva: fili spinati e bocchettoni degli idranti carichi e pronti ad essere utilizzati. Un saluto e i due battelli si allontanano.
Nel tratto di mare in cui sta navigando il Libeccio occorre stare particolarmente attenti perché se è vero che il numero degli attacchi non è stato grande, è pur vero che ha colto tutti di sorpresa perché le coste somale sono ad oltre 800 chilometri di distanza. La fregata italiana sta navigando nell’Oceano Indiano. La sua missione, inquadrata nell’operazione della Nato Ocean Shield, comandata dal commodoro britannico Steve Chick, è contrastare la pirateria al largo delle coste somale. Per combattere gli arrembaggi sul Libeccio sono imbarcati elementi specializzati delle forze armate italiane: sommozzatori, palombari, artificieri, incursori e fucilieri, tutti del reggimento San Marco, fiore all’occhiello della marina militare italiana. Spiega il capo Paolo Palumbo, di Taranto: “Oltre a garantire la sicurezza della nostra fregata, siamo noi che effettuiamo le azioni di boarding (cioè di trasferimento su altre navi). Facciamo strada a ufficiali e sottufficiali che controlleranno se i documenti corrispondono al carico. Siamo rimasti anche a bordo di mercantili per difenderli da eventuali attacchi”. Il sottufficiale Palumbo mostra le armi e le apparecchiature più sofisticate in dotazione dei suoi uomini. Non solo fucili e pistole, ma anche visori notturni, maschere antigas, elmetti particolari, lampade, giubbotti, corde e funi per lanciarsi dagli elicotteri, salvagenti individuali e altre attrezzature. Quando presenta il suo gruppo salta fuori anche un tiratore scelto, paracadutista. Il suo nome sulla targhetta appuntata sulla camicia è scritto anche in arabo: Fabio Nuzzo. Con competenza e maestria mostra il suo gioiello, un fucile di precisione MSG 90 di calibro 7,62 con il cannocchiale intercambiabile a seconda delle situazioni. Può essere caricato con proiettili normali o con quelli “disabilitanti”, cioè non letali.
Nuzzo, come tutti gli specialisti come lui, si sposta sempre con un compagno “osservatore” che monitora l’ambiente in cui muoversi, con altri strumenti sensibili, per operare al meglio. A bordo del Libeccio trovano posto due elicotteri e un gruppo di elicotteristi, piloti operatori di bordo, radaristi specializzati, al comando del tenente di vascello Antonio Strina. L’apparecchio esce in ricognizione due volte al giorno, alla mattina e al pomeriggio con il compito di perlustrare il mare in un raggio di una novantina di chilometri attorno alla fregata e intercettare barchini sospetti. Monta sofisticatissime apparecchiature e radar dell’ultima generazione. “Molte volte però il radar non è sufficiente – spiega il comandante Strina durante una volo di ricognizione – e allora usiamo telecamere che possono essere adoperate anche con raggi infrarossi e permettono di vedere il calore emesso dai motori”. Durante il viaggio il radarista segnala un eco proveniente da un oggetto non identificato e il comandante Strina dirige l’elicottero in quella direzione. I quattro uomini a bordo (il quinto è stato lasciato sul Libeccio perché ho preso il suo posto) sono in allerta. Ma quando si raggiunge la posizione segnalata sul mare non c’è nulla. “Potrebbe essersi trattato di un branco di pesci – spiega Strina – ma in questi casi è sempre bene andare a controllare. Alcuni barchini, bassissimi sfuggono ai radar del Libeccio ma non ai nostri quando siamo alti in volo. Purtroppo però si manifestano fenomeni che ci ingannano. I falsi allarmi sono abbastanza frequenti”. “Abbordare” sul Libeccio, cioè atterrare sul ponte di volo, è una manovra sempre un po’ complicata, specie se il mare è grosso. La fregata deve allinearsi in modo tale che il vento sia favorevole. Poi nave e velivolo devono procedere alla stessa velocità. Infine il pilota, osservando il beccheggio, deve posarsi deciso al punto giusto, evitando però un forte impatto che potrebbe danneggiare i pattini dell’elicottero.
E così anche lì la libera iniziativa è in pericolo: il bottino tornerà a farlo soltanto la Compagnia – multinazionale – delle Indie

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