venerdì 19 Luglio 2024

Da Guantanamo il manuale segreto

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Nel 2003 esportate in Iraq le 20 regole per gli interrogatori: «Privazione del sonno e bombardamento sonoro»

La Cia voleva sapere di più e il Pentagono ha fatto in modo di soddisfare la richiesta. Esportando ad Abu Ghraib le tecniche usate a Guantanamo. Un sistema sicuro. Provato su molti dei 600 detenuti sospettati di appartenere ad Al Qaeda e spediti nella base caraibica. Una procedura composta da una ventina di «metodi» che avrebbero sciolto la lingua alle vittime del trattamento. Una missione affidata ad uno specialista: il generale Geoffrey Miller, comandante nel 2003 di Guantanamo. Inviato in Iraq, l’alto ufficiale ispeziona la prigione di Abu Ghraib suggerendo cosa fare per «estrarre» dai prigionieri le informazioni necessarie. Miller, come racconta il «New Yorker», sottolinea come la detenzione debba essere «mirata, soprattutto, agli interrogatori e alla raccolta di informazioni necessarie per la guerra».
Prima del conflitto, invece, l’obiettivo era raccogliere dati su Al Qaeda e dunque le stesse tecniche erano state applicate sui personaggi di spicco della rete terroristica caduti in mano americana. Una mano pesante che doveva, da un lato, smantellare la struttura guidata da Osama Bin Laden e, dall’altra, sventare possibili nuovi attacchi. In nome dell’emergenza e dell’urgenza i generali, imitati dai loro sottoposti, non hanno più badato ai controlli. Così, tanto in Afghanistan che in Iraq, i soldati che dovevano interrogare i prigionieri si sentivano liberi di fare quello che volevano. Se si aggiunge poi l’impiego di personale non particolarmente addestrato e di guardie fornite da società private si possono comprendere gli esiti terrificanti.
Il quotidiano «Washington Post» individua nell’aprile 2003 il momento chiave. Il Pentagono redige l’elenco delle tecniche e le fornisce ai secondini di Abu Ghraib. I soldati sono autorizzati ad esercitare pressioni psicologiche pesanti ma si sottolinea che per i metodi più duri è necessaria la luce verde del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld.
Nella lista passata ai secondini si precisa ciò che è autorizzato:
1) Privazione del sonno. 2) Esposizione del detenuto a sbalzi di temperatura estremi. 3) Bombardamento «sonoro» all’interno della cella. 4) Luci accese notte e giorno nella cella. 5) Cappuccio in testa al prigioniero. 6) Tenere il detenuto nudo, magari in presenza di donne-soldato. 7) Costringerlo a subire perquisizioni e controlli da parte delle donne-soldato. 8) Spezzare il suo equilibrio biologico, facendogli perdere il senso del tempo. 9) Tenerlo in posizione di stress per fiaccare la sua resistenza.
«Volevamo trovare un mezzo legale per incrementare la pressione – ha raccontato uno dei legali che collaborarono con il Pentagono – e volevamo un po’ più di libertà di manovra di quella che c’è in una prigione negli Stati Uniti, ma non la tortura».
Ad uno degli esperti venne in mente la scena del film «Gli intoccabili» nella quale un poliziotto – interpretato da Sean Connery – durante l’interrogatorio del cassiere di Al Capone scarica il suo revolver sul corpo di un mafioso già morto. Ma il detenuto non lo sa e, spaventato, collabora. Dopo un consulto, gli specialisti decidono però di accantonare questo trucco.
Il portavoce del Dipartimento della Difesa, Bryan Whitman, ha cercato di circoscrivere il ricorso alle pressioni estreme. Si è trattato di procedure «controllate in modo stretto, limitate nella durata e negli obiettivi, usate raramente e approvate su base individuale». Per il funzionario sarebbero state applicate nei confronti di «combattenti

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