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Dalla Russia col tremore

Così gli analisti del Cremlino ci spiegano perché implorano gli americani di salvarli dal totale disastro

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Non si possono prevedere gli effetti reali della buffonesca messa in mezzo dei due bulli americani al presidente dell’Ucraìna.

Possono davvero consentire alla Russia di salvarsi da un rovinoso tracollo?

Perché, hanno voglia i soliti “esperti” copia e incolla che affollano le tribune mediatiche a parlare di una Russia che sta vincendo questa guerra, ma è tutt’altro che vero, come ho riassunto il 24 febbraio scorso https://noreporter.org/un-tapiro-per-putin-non-basta/

Certo, Trump, ma soprattutto Vance che ne è ormai il tutore, può incidere parecchio nel favorire Mosca. Ma fino a che punto?

In che modo gli Usa possono pugnalare l’Ucraìna?

La gran parte delle sanzioni americane alla Russia possono essere revocate solo dal Congresso, il quale, peraltro a maggioranza repubblicana, non sembra averne la minima intenzione perché vuole che la guerra continui. Proprio l’altra sera le ha prorogate di un anno e il Presidente non ha facoltà di revocarle se non in misura ridotta. Il Vicepresidente non ha poi alcun potere.

Ovvio che se Starlink viene offerta ai russi, o se si riesce a corrompere lo stato maggiore ucraìno, i russi possono uscire formalmente vittoriosi da questa guerra, perché li si sarà fatti vincere.

Per Mosca è questione di vita o di morte

Ma sarà una volta di più tanto fumo, perché in questa guerra la Russia ha perduto ogni velleità per il futuro. Se perde la guerra in Ucraìna, la Russia è perduta, ma se non la perde resta su con le flebo e i cerotti e ridimensionata peggio del 1991, con un futuro privo di ambizioni che non siano verbali.

Non lo dicono i nemici della Russia, ma la Cremlinosfera.

Ogni volta che valuto le debolezze russe non mi servo di fonti ostili, ma delle loro, perché non mi fido di nessuna propaganda.

Sono loro (dal governo) che hanno denunciato i crolli delle infrastrutture e i disastri della macchina bellica.

E sono ancora loro che, osservando quello che avviene altrove, in particolare in Siria e in Africa, si stanno rassegnando a un ripiegamento decisivo.

Un ridimensionamento inevitabile

Questo ripensamento inizia da prima del tentativo fallimentare di “operazione speciale” in Ucraìna.
Andrei Kortunov, allora direttore generale del Consiglio Russo di Affari Internazionali, nell’aprile del 2021, commentando la situazione in Siria diceva che “la Russia poteva considerarsi vincente solo tatticamente, avendo guadagnato un ruolo nella regione con un’operazione militare relativamente a basso costo, ma in cinque anni non era riuscita a dare una strategia d’uscita alla crisi”. E si domandava impietosamente: “È il cane che agita la coda, o è la coda che agita il cane?”

Una linea spezzata

Così, non ieri ma già a metà settembre 2022, i soldati russi lasciavano la Siria per pressioni turche e perché vi erano problemi di effettivi dovuti alla guerra in Ucraìna. Nel 2018 erano 63.000, da fine 2022 la presenza russa è praticamente inesistente.

Nikolai Sukhov, specialista dell’Istituto di economia mondiale e di relazioni internazionali diretto in passato da Evgheni Primakov, l’uomo che risollevò la Russia, faceva notare in un articolo dell’8 dicembre 2024 in Russia in Global Affairs che, dopo l’abbandono di Tartus “nessuno degli aerei da trasporto russi può volare direttamente fino all’Africa Centrale, per cui il lavoro attivo coi paesi africani dipende direttamente dalla Siria dal punto di vista logistico”.

Al momento, anche se i russi riusciranno a disporre della sola base navale mediterranea, che hanno in Cirenaica, per raggiungerla, i loro aerei dovranno chiedere il permesso di sorvolo dei cieli turchi.

Da cui si capisce come e perché Mosca, oltre a Damasco, abbia abbandonato il Nagorno-Karabach e lasciato isolare l’Armenia. Ma senza alcuna garanzia in contraccambio.

Anche nel vicino estero, Mosca retrocede.

In Ucraìna rischia tutto

Fyoodr Lukyanov, presidente del Consiglio di politica estera e difesa, ritiene oggi che quella che fu presa per un’offesa, quando Obama definì la Russia una semplice potenza regionale, sia ormai la sola opzione rimasta a Mosca.

Egli considera che non sia un male l’abbandono della Siria “Il Cremlino può lasciare la regione, Teheran no”.

Probabilmente per smarcarsi dall’Iran e ottenere dagli americani campo libero in Ucraìna.

Lì, a suo avviso è in atto la “sfida esistenziale. Un conflitto che Mosca non può premettersi di perdere”.

“Oggi – ammette – essere una potenza regionale capace è forse l’ultima forma sostenibile d’influenza”.

E, in questa prospettiva che non esclude l’abbandono anche dell’Africa centrale, propone di concentrarsi “sul vicino estero, l’area dell’ex Urss”

Ma come ha potuto la Russia ridursi così?

Se tre indizi fanno una prova, vediamo le origini dei leaders dell’URSS e della Russia dal 1917 in poi:

Vladimir Lenin (1922-1924) ebreo
Iosif Stalin (1924-1953) georgiano
Georgij Malenkov (7-14 marzo 1953)
Nikita Kruscev (1953-1964) ucraìno
Leonid Breznev (1964-1982) ucraìno
Jurij Vladimirovič Andropov (1982-1984)
Konstantin Cernenko (1984-1985) siberiano
Michail Gorbacev (1985-1991)

In Russia:
Eltsin (con la guida di Primakov, ebreo)
Putin

Lenin, Stalin, Kruscev, Breznev ebbero indiscutibili successi, Cernenko riuscì a dare respiro all’URSS in difficoltà. Una volta implosa l’Unione Sovietica, fu Primakov a rilanciare la Russia.

Di russi veri e propri abbiamo Melenkov, emarginato in una settimana, Andropov che s’incartò nella sfida ai pershing, Gorbacev che crollò, Eltsin che ebbe bisogno di un tutore e Putin che ha compiuto il capolavoro al quale stiamo assistendo con le sue “mosse di scacchi”.

L’ultima – a detta dei consiglieri del Cremlino – si chiamerebbe arrocco.

Solo però se gli americani glielo consentiranno, perché se non vincono formalmente in Ucraìna una guerra che sul terreno non va loro affatto bene, rischiano di non avere neppur più la scacchiera.

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