
Un anno è passato
Un anno fa, sabato 24 febbraio, moriva d’infarto Daniel Gazzola mentre andava in bicicletta.
Sportivo Daniel lo è sempre stato: ciclismo con varie arrampicate montanare, pugilato e calcio. Aveva giocato da centravanti con risultati niente male. In Francia aveva militato in quella che può essere paragonata alla nostra categoria Promozione.
Lo conobbi a fine novembre del 1980, non appena giunto a Parigi dove inizialmente riparammo in cinque. Apparteneva al Mouvement National Révolutionnaire di Jean-Gilles Mallarakis, che poi si sarebbe trasformato in Troisième Voie.
Era ancora l’epoca d’oro della militanza, con presidi e scontri, anche all’università.
Daniel fece parte della primissima schiera che ci accolse, fu anche uno degli ultimi a restare al suo posto.
Fierezza italiana
Nipote e figlio di emigrati italiani, si sentiva orgogliosamente italiano pur essendo profondamente francese: un connubio e una sintesi realmente particolari ed eccezionali.
Serbava il ricordo, ovviamente trasmessogli, dei suoi genitori ancor giovinetti inquadrati nella gioventù fascista in Francia, finalmente orgogliosi della loro identità e affrancati da qualsiasi complesso d’inferiorità, cosa abbastanza usuale negli immigrati.
Il suo cuore rimase legato alle radici familiari e alla loro terra piacentina, che ora è divenuta sua perché si era comprato una casa dove intendeva trascorrere il tramonto della sua vita e perché è quella la terra che oggi lo ricopre.
Ha sempre tifato per le italiane, non solo per la Nazionale, ma per qualsiasi squadra fosse competitiva in Europa: l’Inter come la Juventus. Aveva un debole per Totti, il miglior giocatore che, diceva, avesse mai visto. Una sera sono a Milano dove ho appena assistito a Inter-Roma 2-3. Esco dallo stadio e sento squillare il telefono. È Daniel e mi chiede se per caso mi trovi lì anche io perché lui c’è venuto apposta per vedere giocare quello straordinario giocatore. Che per inciso aveva appena segnato una tripletta.
Aveva perfino proposto di acquistare un abbonamento annuale soltanto per potere assistere alla partita di addio del capitano.
Anche se venne spesso con me a vedere le partite della Roma nei pub parigini, solo per vedere Totti e se, sempre insieme, guardammo la finale di coppa Uefa vinta dal Parma, non si creda che la sua figura si potesse limitare alla passione calcistica.
Militia
Sempre in fatto di sorprese, un giorno, credo nel 2002, partecipo a un dibattito sugli anni di piombo dalle parti di Piacenza. C’è la mobilitazione antifa, c’è la polizia, c’è quel sano odore di molotov e di porfido, anche se ormai siamo in un’altra epoca: è lo spettacolo di cani che abbaiano senza azzannarsi, non ci troviamo più nell’era delle sfide autentiche, pericolose e accrescenti.
Comunque me lo trovo lì. “Sono venuto ad ascoltarti”, mi dice. Ha letto sul giornale di Piacenza un trafiletto che parla del dibattito e del presidio, è in zona perché c’è qualche festa in Francia.
Intelligente, spiritoso, ficcante, spigliato, privo di complessi, con una grande carica umana che gli consente di avere successo comunque e ovunque, Daniel è sempre stato un militante radicale nel senso più genuino e radicato del termine. Dentista affermato, non ha mai smesso di militare. Dapprima con Mnr-Troisième Voie, poi nel Front National, candidato paracadutato a Marsiglia, perdendo in due campagne quasi tutta la sua clientela (stai un mese e oltre senza praticare) e rifacendosela poi senza battere ciglio.
Il tutto senza alcuna seria prospettiva di elezione, tenuto conto delle leggi elettorali in Francia e degli accordi del “cordone sanitario” che escludeva da parte di tutti i partiti ogni accordo al secondo turno con quello di Le Pen.
Lo faceva per senso del dovere. Mille volte più meritevole per via di un’intelligenza viva e al di sopra del normale che lo metteva al riparo dalla necessità di ritagliarsi un ruolo nella commedia della vita, insomma di “esistere” come è il caso per la maggioranza dei “militanti” di oggi e lo riparava da qualsiasi illusione.
Con quell’ironia e quella consapevolezza procedeva stoicamente, così come avrebbe approvato Julius Evola che, però, non credo che Daniel avesse mai letto.
Quando dormiva?
S’interessava di tutto. Fu lui che mi fece scoprire Dieudonné. Era melomane e innamorato di Verdi, forse ancora per via del richiamo delle radici familiari. Quando smise la militanza di partito animò gruppi di amici e al tempo stesso interveniva, come pubblico, in diverse emissioni radio riuscendo, con una capacità di comunicativa unica, a far passare messaggi letteralmente rivoluzionari presso un pubblico vasto e variegato e con successo, quantomeno nell’immediato.
Dimenticavo: era il mio dentista, rigorosamente gratuito, e anche quello di altri camerati in condizioni similari.
L’unica domanda a cui non ho mai trovato risposta è quando trovasse il tempo per dormire.
Veniva regolarmente alle cene-dibattito che organizzo a Parigi. Dal giorno della sua morte il circolo lanzichenecco della capitale francese è intitolato in suo nome.
Stasera, anniversario della sua scomparsa, brinderemo a lui. Per l’occasione la conferenza (sulla Turchia) la terrà il suo capo storico, Jean-Gilles. E io accanto. E lui pure!