venerdì 19 Luglio 2024

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Cronache dal meraviglioso mondo della giustizia americana

               NEW YORK – Sdraiato sul lettino dei condannati, Romel Broom si era rassegnato a morire per un reato commesso 25 anni fa. Il macabro rituale della giustizia capitale era ormai alle battute finali. Broom aveva già consumato l’ultimo pasto, salutato i parenti e aspettava che gli infermieri gli infilassero un ago nelle vene e che il boia del carcere di Lucasville, in Ohio, iniettasse il veleno. Ma lunedì scorso qualcosa non ha funzionato.
Per quasi due ore gli infermieri hanno cercato di trovare una vena idonea, senza però riuscirci a dispetto di diciotto tentativi consecutivi, prima in un braccio poi nell’altro. Anche il condannato, nonostante il dolore e le lacrime (perché l’ago ha toccato anche le ossa), si è dato da fare per aiutarli: spostandosi, strofinandosi il braccio, cambiando posizione. Tutto invano. Alla fine l’esecuzione è stata rinviata a martedì prossimo dal governatore dello stato, Ted Strickland, ma intanto il caso del Ohio è diventato un nuovo terreno di battaglia per gli oppositori della pena di morte.
Gli avvocati di Broom hanno denunciato l’episodio come una forma di “tortura” e hanno chiesto alla Corte suprema di bloccare l’esecuzione-bis almeno fino a quando l’uomo, che ha 53 anni, non si sarà ripreso dal trauma fisico e psicologico. Anche la Aclu (American civil liberty union) è scesa in campo con una duplice speranza. Primo, una commutazione della sentenza. Secondo, che l’episodio dimostri una volta per tutta la tesi sostenuta da tempo dalla associazione per i diritti civili: cioè che le condanne a morte sono una forma di punizione “crudele e inusuale”, quindi non costituzionale.

Del resto è la terza volta che in Ohio si ripete un incidente simile. Per ora l’unico risultato dell’offensiva legale è che Broom darà lunedì prossimo, alla vigilia del nuovo appuntamento con il boia, una testimonianza sulla sua disavventura da usare nei processi federali.

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