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Due solitudini in armi

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E quel magnifico Il cavaliere, la morte e il diavolo

Quando l’editore Giovanni Volpe pubblica il libro di Jean Cau – il dialogo tra l’autore e la celebre xilografia del Duerer – siamo alle fine degli anni ’70. Ultimi bagliori di un decennio tragico e feroce di imponenti serpentoni di bandiere rosse di pugni chiusi di portoni sprangati di saracinesche abbassate odore aspro di lacrimogeni e vampate della molotov. Poi, complice il buio della sera, il crepitio assassino della mitraglietta contro giovani inermi e generosi. Sangue versato sull’asfalto. Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo diviene presto un poster da contrapporre al volto febbricitante del Che nel suggestivo scatto del fotografo Korda. Due solitudini in armi. La prima destinata ad essere travolta dal mondo borghese ostile ad ogni forma di aristocrazia guerriera; la seconda ad inforestarsi nella selva boliviana inseguendo un impraticabile Vietnam in terra latino-americana… Due solitudini; due miti. (Tristezza e tradimento verso quel basco con la stella rossa, di quei murales lungo la costa di Cuba ove campeggia la scritta ‘la palabra ensegna,el ejemplo guìa’, illuso il Regime di vaccinare il cuore e la mente di virtù nobili contro lattine di Coca-Cola e i preservativi dati alle quereteras davanti ai locali per facoltosi turisti. Qui, nel pingue e vile Occidente, da esporre allo stadio o in ipocrite ammucchiate con le bandiere dai colori dell’arcobaleno, timore e tremore. Solitario e incurante incede il cavaliere e indica il cammino – egli procede da Oriente verso la terra della sera – a tutti coloro che preservano ‘odore di cuoio e di foresta’. Pochi certo ma felici perchè, scrive Jean Cau, ‘mi accade a volte di credere che il coraggio e l’allegria sgorghino dalla stessa sorgente’).                                                                                                                                             
Metà anni ’60. Antesignano occasionale. Fine settimana. Prendo un treno che se ne va lungo il Reno direzione Karlsruhe, nel Baden. Ho una meta precisa, la Staatliche Kunsthalle, la galleria nazionale d’arte. Grigio il cielo umido piove. Dicono come sia stata una bella antica città dominata dal castello nato, secondo una leggenda, dal sogno del margravio Carlo III Guglielmo. Devastata, anch’essa, dai bombardamenti alleati, accanimento contro i simboli dell’Europa di cui si sentivano ostili ed estranei. Il nostro nemico, il più autentico e barbaro.                                                                                  
Eccomi di fronte al trittico di Albrecht Duerer, le tre xilografie di modesto formato composte intorno alla prima decade del XVI secolo e raffiguranti San Girolamo nella sua cella, la tanto decantata Melancolia e, appunto, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo – è per quest’ultimo, lo confesso, che sono qui. In quegli anni inquieti di sogni e di azione in cammino; oggi a proteggerne la memoria.

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