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In realtà è semplicissimo

Il capitale lo si può imporre, servire (reazionari e comunisti), gestire (socialdemocrazia) o rivoluzionare (fascismo)

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In fondo è semplice. Da quando si è passati alla società industrializzata si è imposto e si è progressivamente allargato il capitalismo, con la sua natura cosmopolita e livellatrice, comunista nell’anima (parliamo del comunismo serio che è sacerdozio oscuro, non di quello che si vuole ribelle). Comunista e classista, perché discriminatorio nelle relazioni e incentrato sull’oligarchia.
Da allora sono pullulate le risposte ideologiche, culturali, politiche, di ogni genere, natura e ghiribizzo, frutto di soggettività o di suggestioni di gruppo; ma di fondo le visioni serie, quelle che incisero sugli eventi si riducono a cinque.
Nella società post-industriale e nel capitalismo ultrafinanziario alcune di esse stentano a trovare una forma, ma restano potenzialmente presenti. Al di fuori di queste cinque non ve n’è nessuna, né è plausibile che ne scaturiscano di nuove. Ci sono, logicamente, tante varianti interne a ognuna di esse (keynesismo, monetarismo, trozkismo, stalinismo, operaismo e via dicendo), ma sono appunto varianti interne.

La prima delle linee è quella liberista che, in tutte le sue modulazioni, si vuole pragmatica, propende per lo svincolo – in alto – del capitale e – orizzontalmente – del mercato, dalla politica che dovrebbe sottomettersi a una dinamica travolgente.

Poi abbiamo due linee egualmente reazionarie, anche se di spirito opposto: una nostalgico/eversiva e una sovversivo/corrosiva. La prima rigetta ogni modernizzazione, dalla luce elettrica al telegrafo, dalla fabbrica all’automobile, dal computer al telefonino e, con esso, ogni forma istituzionale, monetaria o giuridica in corso, in nome di un “fermate il mondo voglio scendere”.
Ma neanche la seconda (quella che ha trasformato il marxismo in fede e chiesa) scherza in quanto a reazione. Se per la prima c’è sempre un complotto alla base di azioni che intende come da un Mago di Oz e su cui si pretenderebbe d’intervenire proponendo soluzioni economiche similari al baratto, per la seconda si tratta di abolire il “plus-valore” non socializzandolo come ebbe in mente Mussolini, ma annullandolo insieme all’abolizione della proprietà privata. Uno slancio verso la paralisi, come dimostrato dai Paesi del “socialismo reale” che, a differenza della reazione di destra che è totalmente incapace, perfino di mettere insieme imprese disastrose, in quanto non ha alcuna capacità imprenditoriale, la paralisi sociale ed economica la realizza, scientificamente sia pur con pretese opposte. Va detto che le due componenti invertono i propri ruoli – e qui si scontrano in teoria – nei riferimenti spirituali e culturali. La sinistra è utopista, sovversiva e disgregatrice. La destra si attacca – o almeno crede di farlo – all’immagine e alle vestigia di valori del passato, di cui raramente conosce e condivide i princìpi e che non pensa affatto a come declinarli nell’attualità.
Ma sono differenze che stanno nelle teste dei singoli, nella pratica si trasformano in diverse zavorre utili al potere.

La salute del status quo oligarchico è ottima quando le sole opposizioni ad esso sono quelle reazionarie e demagogiche (oggi definite populiste e sovraniste) che non riescono mai a convergere se non nelle lamentele o nelle parti più retrive che nutrono in fondo suggestioni luddistiche. Ricordo che i luddisti erano quegli operai britannici che pensavano di poter frenare il progresso distruggendo le macchine delle fabbriche. Senza distruggere fisicamente quasi nulla, gli euroscettici, i notav e via dicendo, sono dei luddisti ideologici.

Alla linea dominante e alle due alternative diversamente reazionarie si aggiunsero presto due linee pragmatiche (una riformista e l’altra riformista-rivoluzionaria), la socialdemocratica (intendendo con questo anche le varianti liberal del New Deal americano e del capitalismo renano) e la fascista.
A prima vista esse si assomigliano parecchio, tant’è che per molti analisti marxisti rappresentano due espressioni del dominio borghese. In realtà hanno alcune cose in comune: la distribuzione, l’interclassismo, la solidarietà sociale, lo stato sociale, l’intervento statale, o comunque dell’autorità, sul piano socioeconomico.
Entrambe, prendendo, non si sa con quanta consapevolezza, spunto dalle rettifiche già apportate da Napoleone e da Bismarck, si sono imposte come calmiere e ammortizzatore dell’anarchia tirannica del capitalismo, sostenuta e sospinta dalle reazioni rossa e bianca.
C’è però una profonda differenza tra le due. La socialdemocrazia funge in qualche modo da istituzionalizzazione di una forma di sindacato che contratta con il padronato; il fascismo invece è un impianto cesarista/tribunizio che auspica la socializzazione (non mi limito qui agli utili d’impresa) e la gestione politica ed economica in una logica rivoluzionaria di comunità di destino. Riformista e rivoluzionario insieme. D’altronde è il solo fenomeno rivoluzionario ed efficiente che si sia mai conosciuto.

Al giorno d’oggi latita proprio questa alternativa. Il sistema galoppa nella sua anarchia organizzata e fa finta di essere preoccupato dai mal di pancia reazionari delle demagogie inconcludenti dei populismi di destra e di sinistra. I quali populismi a suo tempo vennero utilizzati dalla finanza per attaccare dal basso l’industria che essa corrodeva dall’alto e oggi vengono mobilitati contro tutte le barriere che si frappongono tra il dominio assoluto della finanza e le questioni sociali e nazionali, per quanto zoppe. Non è un caso se le linee populiste di destra e di sinistra convergono nel cercare di far saltare freni e frizioni del sistema, dall’ordoliberismo renano, all’Unione Europea, dal tentativo di autonomia strategica, industriale e informatica nel nostro continente, a ogni posizionamento geopolitico che faccia da ostacolo a chi ci è oggettivamente nemico.
Praticamente è come se – con analogia storica – le destre e le sinistre si fossero mobilitate contro la socialdemocrazia per fare un piacere alle banche e ai padroni del vapore. Accusando, anche in parte giustamente, i socialdemocratici di essere servi del sistema. Ma da che pulpito?

L’assenza finora di un fascismo espresso nel nuovo millennio circoscrive tutta la questione in quest’ambito, laddove chi svolge la stessa funzione dei socialdemocratici (la Ue, il polo carolingio, il capitalismo renano) e i cui interpreti provano sia pure a tentoni a mantenere la linea di De Gaulle, di Adenauer, di Kohl (che faceva pendant con gli autonomismi mediterranei italiani soffocati nella repressione e nel sangue negli anni setttanta) diventa il nemico numero uno, anzi il solo nemico, di chi è al laccio dei poteri fortissimi: ovvero sia i reazionari di sinistra e di destra.
Quella che manca disperatamente è una componente che dia tutt’altro spirito e visione a quanto si staglia sullo sfondo a fare attrito alla nientificazione che dovrebbe essere invece rigenerato e rivolto in una Idea del Mondo che non sia soltanto utilitaria e attendista.
Per queste ragioni noi dobbiamo essere non europeisti ma ultra europeisti, però dobbiamo esserlo non pedissequamente bensì con animo e prospettive rivoluzionarie, così come ci ha insegnato la primavera italiana ed europea del “secolo breve” di cui, i reazionari bianchi, grigi, o che magari si credono bruni o neri, non hanno alcuna idea e con cui non hanno nulla in comune, tranne – soggettivamente – un legame sentimentale.
Vediamo di capitalizzare quest’ultimo per metterlo in linea con l’impegno di rigenerazione.
Oppure serviremo il Caos.

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