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E se fossimo semplicemente impazziti?

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Parola di un settantanovenne che le ha passate tutte

Premetto che sono disponibile e pronto a essere sottoposto a una perizia psichiatrica come succedeva ai dissidenti nell’Urss; tuttavia, non riesco a capacitarmi della pandemia di panico che accompagna la diffusione del Coronavirus. Ho compiuto 79 anni, quindi sono partico-larmente a rischio, ne voglio sottovalutare la gravita di un contagio che ha origini sco- nosciute, manca di cure appropriate e speci-fiche e provoca infezioni polmonari molto acute.
La polmonite, anche prima del Covid-19, non e mai stata una patologia da sot- tovalutare. Questa malattia ha segnato la storia della mia famiglia: mio fratello maggiore morì di polmonite quando io ero appena nato.
Ma allora era in corso la Seconda guerra mondiale, non c’erano quei medicinali essenziali che, in seguito, cambiarono la storia della medicina. Senza tornare in- dietro di un secolo e risalire agli effetti del- la “Spagnola” (di cui mori il nonno materno) la mia generazione ha conosciuto altre epidemie/pandemie. Ero un ragazzo quando, nel 1957, scoppio “l’Asiatica”; se ben ricordo ne fui anche affetto. Quell’influenza, in tutto il mondo, provoco piu di un milione di vittime. Anche allora, l’Alto Commissario all’Igiene e Sanita pubblica (allora non era ancora stato istituito il ministero) Angelo Giacomo Mott, medico, affermava (la sua intervista era diffusa dai cinegiornali che precedevano la proiezione dei film): «E bene raccomandare a tutti i colpiti, anche ai leggeri, di curarsi per evitare complicazioni che potrebbero essere veramente dannose».
L’itinerario del bacillo, proveniente dalla Cina, transitato attraverso l’Africa e approdato in Europa dalla Spagna, era descritto attraverso il fumetto di partita di calcio tra gli ometti caratteristici del vignettista, con conclusione nella rete dell’Italia. Anche allora furono prese particolari misure nell’Aeroporto di Ciampino, benché i voli fossero eventi eccezionali.
Nel 1969 ci fu un’altra epidemia chiamata la ‘’Hong Kong’’ (e iniziata nel luglio 1968 in Ci- na). Arrivò in Italia nell’inverno del 1969. In questo caso il Post è più ricco di fonti: sono ripresi titoli dei principali quotidiani e le cronache di un telegiornale dell’inizio del 1970 che inseriva il bollettino di guerra dell’epidemia come notizia tra le altre. I dati erano forniti un po’ all’ingrosso: un italiano su quattro era stato contagiato, 5mila i morti, centinaia di migliaia di ammalati nelle principali citta, ospedali (si vedevano le immagini) stracolmi, con ammalati ovunque (i letti in rianimazione non esisteva- no neppure). Una notizia della durata di un minuto e 43 secondi insieme all’annuncio di una riforma amministrativa a Roma, una visita del sindaco di Milano, Aldo Aniasi, a una fabbrica occupata, una mostra d’arte a Chieti e il campionato di motocross in Ungheria.
Più o meno come adesso i tg affrontano i drammi dei profughi, delle guerre e di tante tragedie dei nostri tempi che avvengono lontano da noi. E non ci toccano. Eppure, se qualcuno rievoca quei mesi e quegli anni lo fa per ricordare le grandi lotte sindacali, da cui prese avvio l’organizzazione di grandi manifestazioni di massa, i cortei dentro e fuori dalle fabbriche, gli spostamenti di decine di migliaia di persone in treno e in pullman. Nessuna quarantena, nessun blocco della produzione (se non per scioperi), nessun allarme, nessuna chiusura delle scuole, dei parchi, dei cinema e di quant’altro e stato messo in quarantena nell’attuale circostanza. Annibale non era alle porte, la vita continuava.
Io non intendo affermare che quello era un modo appropriato per affrontare delle calamità che facevano vittime, spesso trattate solo come numeri. A sentire adesso quei commenti viene la pelle d’oca. Ma non vi erano segreti; l’informazione era vigile e l’opinione pubblica era consapevole, ma accettava queste sciagure come eventi
– possiamo dirlo? – naturali.
Lo spettacolo doveva proseguire comunque. Quanto ha influito la comunicazione, in queste settimane, nel determinare una psicosi oggettivamente esagerata nell’opinione pubblica, fino al punto di mettere a rischio più la vita di domani che quella di oggi? Perché non siamo capaci di individuare una relazione oggettiva per gli eventi che nella societa moderna mettono a rischio la nostra incolumità?
Non si muore solo di coronavirus. E la morte è solo un episodio dell’esistenza. La Protezione civile ha reso noti dei dati che dovrebbero farci riflettere : 1) l’età media dei decessi e pari a 80,3 anni; 2) i deceduti soffrivano di altre gravi patologie; 3) soltanto in due casi il decesso è dipeso dalla sola presenza del coronavirus. Un tg ha indicato come vittima del contagio un famoso architetto deceduto alla veneranda età di 92 anni.
A me (che, ricordo, di anni ne ho 79) non sembra affatto che – a fronte di queste statistiche – sia in atto una catastrofe umanitaria, quanto piuttosto una tremenda difficoltà di reggere da parte delle strutture sanitarie che, per questioni meramente organizzative, si trova- no a dover gestire degli ammalati quando la loro condizione si e particolarmente aggravata, perché in precedenza la persona contagiata resta in una zona grigia sospesa tra un semplice raffreddore e una polmonite.
Se si riuscisse a individuare un filtro in questo cruciale passaggio ci risparmieremmo di sovraccaricare gli ospedali (a cui si portano dei malati ormai all’ultimo stadio) ed eviteremmo questa sciagura di una quarantena generalizzata. Da ottobre dell’anno scorso ai nostri giorni ben 8,6 milioni di italiani sono rimasti a letto a causa dell’influenza stagionale. Sono gli stessi virologi a riconoscere che i decessi per questa ‘’banale’’ e famigliare patologia saranno superiori di quelli derivanti dal Covid-19.
Per fortuna le parti sociali hanno trovato il coraggio e la responsabilità di individuare – in questo ‘“8 settembre” planetario – un percorso che si prefigge di salvaguardare la salute dei lavoratori senza fermare del tutto la produzione. Non e detto che questa iniziativa riesca a raggiungere i suoi obiettivi. Ma almeno qualcuno ha provato a non arrendersi.
Le organizzazioni sindacali, le associazioni datoriali, insieme al governo, il 14 marzo, hanno scritto una pagina gloriosa nella storia del Paese.

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