venerdì 19 Luglio 2024

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Un maxi riciclaggio di denaro sporco, per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro, è stato scoperto dai carabinieri del Ros e dalla Guardia di Finanza: 56 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Roma, su richiesta della procura distrettuale antimafia. Ordinanze di custodia per l’ex ad di Fastweb, Silvio Scaglia, e per il senatore del PdL Nicola Di Girolamo. Indagato anche l’attuale ad di Fastweb Stefano Parisi, già sindacalista della Cgil.
L’accusa è quella di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio ed al reimpiego di ingentissimi capitali illecitamente acquisiti attraverso un articolato sistema di frodi fiscali. Alcuni indagati sono stati arrestati negli Usa, in Inghilterra e in Lussemburgo.
L’organizzazione criminale transnazionale individuata dal Ros e dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Gdf riciclava centinaia di milioni di euro tramite una rete di società appositamente costituite in Italia e all’estero. Enorme il giro d’affari complessivo, se si pensa che i capitali illeciti provenivano da una serie di operazioni commerciali fittizie di compra-vendita di servizi di interconnessione telefonica internazionale. Per realizzare la maxi-operazione di riciclaggio gli arrestati si sarebbero avvalsi di società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese ed off-shore, tutte controllate dall’organizzazione stessa.
La parola-chiave è “frode carosello”. Secondo il gip di Roma è in questo modo che l’ “organizzazione criminale” sgominata da Ros e Gdf ha potuto “realizzare attività economiche fittizie del valore di alcuni miliardi di euro al fine di ottenere crediti di imposta con profitti per centinaia di milioni di euro in favore di Fastweb e Telecom Italia Sparkle”. La frode carosello veniva realizzata in quattro mosse, che consentivano di creare “ingenti fittizi crediti Iva”.
1) In primo luogo venivano realizzate o individuate, scrive il gip, una serie di società ‘A’, tutte con sede all’estero nell’ambito dell’Ue e di fatto create ad hoc per le operazioni delittuose, nonché una serie di società ‘B’, con sede in Italia e anch’esse di fatto create ad hoc”.
2) ‘A’ cedeva fittiziamente a ‘B’ un valore pari a ‘100’ di servizi, di solito traffico telefonico ma non solo, senza pagare l’Iva poiché si trattava di cessione all’interno di Stati appartenenti all’Ue (la cosiddetta cessione ‘intra’)
3) ‘B’ cedeva fittiziamente alle società ‘C’ – vale a dire Fastweb e Telecom Italia Sparkle – i medesimi servizi per un valore di ‘100’ sul quale veniva pagata da ‘C’ l’Iva per il 20%, poiché si trattava di una compravendita di servizi in Italia, con un esborso finale apparente per ‘C’ di ‘120’.
4) ‘C’, infine, rivendeva ad ‘A’ i medesimi servizi con il sistema ‘intra’ (come detto applicabile negli acquisti tra Stati Ue) al prezzo di ‘100’ senza il pagamento dell’Iva. In questo modo, afferma il gip, “alla fine di un’operazione sostanzialmente neutra a fini economici perché ogni soggetto paga ed incassa ‘100’, ‘C’ (vale a dire Fastweb e Telecom Italia Sparkle) ha apparentemente pagato ’20’ di Iva a ‘B’, che quest’ultima in ogni caso non versa all’erario, non avendo mai incassato la relativa somma”. Secondo il giudice, dunque, “il vero scopo dell’operazione è consentire a ‘C’ di realizzare un credito erariale di ’20’ su ciascuna operazione fittizia di pagamento di ‘100’. Questo credito può essere sottratto dall’Iva che ‘C’ incassa dai propri clienti per l’uso delle utenze telefoniche e che (in mancanza di credito Iva) dovrebbe riversare all’erario”. Perciò, se ad esempio Fastweb o Telecom Italia Sparkle avevano incassi per un milione e 200mila euro, avrebbero dovuto versare 200mila euro all’erario alla scadenza prevista dalla legge. Poiché però esponevano un (inesistente) credito Iva pari o superiore a 200mila euro, lo detraevano da quanto dovevano versare e ottenevano profitti superiori del 20% a quelli che avrebbero realizzato solo con l’operazione commerciale (ad esempio 1 milione 200mila anziché 1 milione)”. A questo punto, scrive il giudice, “le ingenti somme di denaro apparentemente spese per pagare l’Iva in favore delle società ‘B’ (le cosiddette ‘cartiere’) consentivano a Fastweb e Telecom Italia Sparkle di realizzare ‘fondi neri’ per enormi valori che costituivano l’oggetto primario delle attività di riciclaggio e di investimento fittizio realizzato da altri membri dell’associazione per delinquere”.
Attraverso questo “schema delittuoso” è stato arrecato un danno all’erario complessivo di 370 milioni di euro in poco più di tre anni, in particolare mediante “due distinte operazioni truffaldine”: una denominata ‘Phuncard’, l’altra ‘Traffico telefonico’. La prima ha riguardato la commercializzazione di schede prepagate, denominate appunto ‘Phuncards’, recanti un codice che avrebbe dovuto consentire l’accesso tramite un sito internet a contenuti tutelati da diritto d’autore, in realtà inesistenti. La seconda fittizia operazione ha avuto per oggetto la commercializzazione di “servizi a valore aggiunto” (del tipo ‘contenuti per adulti’) da realizzare mediante l’acquisto e la veicolazione dei contenuti attraverso servizi di interconnessione internazionale per il trasporto di traffico telematico. Anche in questo caso l’oggetto stesso della prestazione (il traffico telematico) si è rilevato inesistente ed ha consentito alle società debitrici dell’Iva nei confronti dello Stato di non versare il tributo, trasferendo ingenti somme all’estero e facendo girare in circolo i flussi finanziari.

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