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Una guerra che ne contiene altre

L’Isis, quell’esercito di tagliagole wahabiti-salafti (un’ottima invenzione in laboratorio di Big Brother), fino ad agosto erano stimati a cinquemila unità, ora sarebbero diventate trentamila…

Obama prepara la spedizione che ha come obiettivi:
– Il controllo delle fonti energetiche e dell’arteria del gas presente e futuro (lo shale iracheno).
– L’alleanza con i padroni della droga curdi che fa seguito a quella recente con i birmani.
– L’innalzamento della tensione tra Europa e Mondo Arabo che, insieme con le porcate alla Mare Nostrum e con le connesse cellule del terrore islamista porteranno a casa nostra un’accelerazione del Piano Kalergi e la solidificazione del controllo orwelliano secondo i canoni psicologici di minaccia esterna e guerra civile che ha ben denunciato Werner nell’analizzare il potere oligarchico in post-democrazia.

Tutto questo viene preparato nel pieno dell’offensiva americana che coinvolge e travolge tutte le potenze minori chiamate da Washington alla stabilità apparentemente instabile del multipolarismo, fondato sulla logica di Yalta e del gangsterismo internazionale a cui oggi nessuno più o meno sfugge.

Così come ogni altro soggetto,  l’Isis che oggi funge da pretesto catalizzatore è un elemento che ha avuto contatti diretti o indiretti con tutti: Arabia Saudita, Qatar, Usa, Inghilterra, Israele, Russia, Turchia. In questo momento la carta scelta dagli americani, che potranno agevolmente cambiare se e quando vorranno, è Teheran con cui intendono controllare l’arteria che, lungo la Via della Seta, dall’Azerbaijan porterà in Europa tramite la Turchia di tutto: gas, petrolio, armi, droga. 

Che sia in atto un’alleanza non soltanto oggettiva ma alacremente sviluppata non è una semplice constatazione: lo hanno affermato a chiare lettere i due governi e lo ha denunciato il Cremlino.

Agli altri players, spodestati regionalmente, resta la possibilità di fare sponda con i tagliagole. Anzi ben più della possibilità: nel divide et impera delle lottizzazioni delle bande del terrore nelle zone private di stabilità statale – e quindi controllate stabilmente da Big Brother – è sempre opportuno che nessun colore dei carrarmatini del risiko scompaia del tutto.

Così, per ragioni molto diverse tra loro, numerosi players, in molti casi alleati organici di Washington (Inghilterra, Turchia, Germania) si esprimono contro la decisione di Obama.
La Germania ancora una volta perché prova, con la dottrina Schauble, a ridurre le tensioni e ad emancipare l’Europa in particolare legandola ad est. L’Inghilterra invece si sente scalzata in Iraq dall’accordo Teheran-Washington e poi ha un ruolo di primo piano nell’attizzare le tensioni internazionali. In quanto alla Turchia…
Non ha fatto che un gioco di rimessa e di contenimento rispetto alla strategia delle Primavere Arabe in cui Obama ha cercato di trascinarla, eppure dagli Usa oggi è dipinta come la vera e unica sostenitrice di Isis, il che è palesemente una forzatura.
Perché? Perché sono in gioco due obiettivi importanti. Quello israeliano che tende a contrapporre le potenze regionali, Iran e Turchia, tentativo dal quale finora Erdogan si è sfilato abilmente e quello della destabilizzazione della Via della Seta. In particolare Erdogan e il suo attual premier Davutoglu, l’ispiratore della politica estera, sono sotto mira da parte americana perché hanno sviluppato una linea che non caldeggia più l’adesione turca alla Ue e che mantiene autonomia di scelte regionali per Ankara.
Insomma, questa guerra all’Isis, che non la distruggerà ma che probabilmente, apporterà “danni collaterali” ai baatisti iracheni che sono in armi sia contro l’Isis che contro il governo di occupazione iraniana, ha gli obiettivi che abbiamo esposto sopra ed è mossa contro gli “alleati” più pericolosi per Washington e più interessanti per la nostra emancipazione: Ankara e Berlino. 

Che poi questo non significhi sostenere i tagliagole o simpatizzare per loro se e quando verranno sterminati è implicito. Tranne che per gli psicopatici ma con quelli non serve ragionare.

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