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Ebbe inizio l’ecatombe

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3 settembre 1939 la dichiarazione di guerra e le sue motivazioni

Settantuno anni fa, il 3 settembre 1939, le democrazie scatenavano la Seconda Guerra Mondiale:
Francia e Inghliterra la dichiaravano alla Germania.
Un conflitto che, estesosi quasi ovunque, in poco meno di sei anni avrebbe causato la morte di milioni e milioni di persone (la stima più bassa parla di 27, la più alta di 55 – oltre il doppio! – dal che si comprende agevolmente come siano sorte tutte le polemiche sulle cifre delle vittime delle diverse e molteplici tragedie).

Il casus belli

Il casus belli fu la presunta “integrità del territorio polacco”.
Come pretesto fu presa l’entrata delle truppe tedesche  nel “Corridoio di Danzica”.
Va precisato non soltanto che l’istituzione di quel corridoio era stata una delle ignominie del Trattato di Versailles che aveva smembrato la Germania sotto più bandiere straniere ma, soprattutto, che Danzica era città tedesca – isolata dalla madre patria dal corridoio – mantenuta sotto il controllo delle truppe polacche (è un po’  lo status che avrebbe avuto Trieste dopo la Seconda Guerra Mondiale). I polacchi procedevano da tempo alla pulizia etnica a Danzica, tanto che al momento in cui i tedeschi intervennero per salvaguardare i propri cittadini della città occupata ne erano stati trucidati nei modi più atroci, spesso fatti a pezzi, la bazzecola di cinquantaseimila.
L’intervento tedesco, non soltanto giustificato e legittimo ma addirittura dovuto, era stato più volte procrastinato mentre il Cancelliere non aveva mai smesso di richiedere un arbitrato internazionale prima di passare agli ultimatum e, infine, all’azione.
Che la tanto sacra “integrità del territorio polacco” fosse solo una scusa grottesca fu dimostrato molto presto. Il giorno 17, infatti, le truppe sovietiche invasero a loro volta  metà della Polonia e l’occuparono. Francia e Inghilterra non solo si guardarono bene dal dichiare guerra a Mosca ma andarono anche oltre:  concessero all’Urss con il Trattato di Yalta l’annessione definitiva di quella metà della Polonia che ancora oggi è russa.
Berlino provò da subito e da posizioni di forza, ma senza mai proporre condizioni ferree, di cessare le ostilità; ma da Parigi e da  Londra e più tardi da Washington fu sempre opposto un secco rifiuto e, fin dal 3 settembre 1939 l’unica condizione fu: “resa senza condizioni”.

Perché l’ecatombe?

Perché quest’accanimento nel 1939, questa volontà assoluta, totale, inflessibile di andare incontro all’ecatombe mondiale?
Quelli che riscrivono la storia a bacchetta ci raccontano – ma in modo sistematico ciò avviene solo a partire dagli anni Settanta, ovvero da un quarto di secolo dopo la fine delle ostilità – che le motivazioni si troverebbero nelle leggi  e/o nelle persecuzioni razziali.
Senza entrare nel dettaglio dobbiamo ricordare che le vittime, a milioni, delle persecuzioni razziali e delle pulizie etniche le troviamo su tutti i fronti e, comunque (tedeschi di Danzica a parte) tutte dopo il 1939, ergo…
Se parliamo di leggi razziali, invece, è davvero difficile trovare una potenza dell’epoca che, in una versione o in un’altra, ne fosse esente. La Francia? Aveva leggi xenofobe introdotte, tra l’altro, dal socialcomunista Front Populaire. Gli Usa? Mantennero le leggi razziali fino al 1964. L’Inghiliterra? Era così radicatamente e diffusamente razzista da non aver neppur bisogno di regolamantare la questione. L’Urss? Tecnicamente non le aveva ma compì allegramente una serie infinita di pulizie etniche (in Ucraina, per fare un esempio, le vittime della politica russificatrice ammontarono a sette milioni e mezzo). Senza contare le eliminazioni in massa dei “proprietari terrieri” (piccoli contadini che possedevano un’ara di terreno). Non si tratta di sterminio per ragioni religiose o biologiche strictu sensu ma nella sua logica è esattamente la stessa cosa.
Quali furono dunque le vere ragioni della guerra di sterminio dichiarata alla Germania – e poi estesa all’Italia – dalle democrazie?
La sopravvivenza.
Perché, come ci sono venuti a raccontare poi, Germania e Italia volevano invadere il mondo?
No. Non solo ciò è assolutamente infondato e regolarmente smentito da ogni documento ufficiale ma è ridicolo anche soltanto immaginarselo: basta prendere un atlante geografico o un dizionario geografico e riflettere trenta secondi.
Solo Hollywood con Charlie Cheplin poteva inventarsi e propagandare una panzana del genere che regge solo per l’ignoranza del pubblico.
Non è necessario leggere pubblicazioni pro-Asse, basta qualsiasi resoconto storico con un minimo, dicasi un minimo, di scientificità, per vergognarsi di esporre una tesi tanto peregrina e ciò a prescindere dai sentimenti politici nutriti nei confronti di Roma e Berlino.

La sopravvivenza

Eppure c’era davvero in gioco la sopravvivenza. Ma la sopravvivenza di chi?
Innanzitutto degli usurai, visto che la politica finanziaria italiana e soprattutto quella tedesca avevano rettificato il signoraggio mettendo fuori gioco i vampiri da casa loro.
Era  altresì in gioco la sopravvivenza dei petrolieri, ovvero della casta dominante l’energia mondiale.
La Germania, infatti, era riuscita a produrre benzina sintetica con l’ausilio dell’idrogeno (se ne occupava la I.G. Farbenindustrie, la medesima industria dello Zyklon B).*
Non appena la guerra fu conclusa, i “liberatori” imposero ai tedeschi la distruzione dei progetti: bizzarro, no?
Se si calcola che Ford aveva provato a brevettare in Usa un procedimento di carburante proveniente dalla canapa e che l’establishment aveva reagito con il lancio della cannabis come droga e quindi con il divieto di coltura della canapa che rendeva così impossibile il procedimento, i conti tornano…
In Germania c’era un governo che non obbediva a banchieri e petrolieri e, se lasciato fare, li avrebbe resi rapidamente desueti.
Inoltre in Italia e in Germania era stata superata la divisione di classe recuperando non solo l’armonia interna ma la coesione e il senso del destino comune: un enorme problema per l’internazionalismo che è sempre, oligarchico e di casta e che pativa una seria crisi.
Inoltre l’adesione plebiscitaria nei confronti dei capi era impressionante.
Nell’imbarazzo generale le democrazie, che mai hanno goduto di simile popolarità,  provarono a parlare di brogli. Tuttavia nella regione della Saar, sotto il controllo internazionale francobritannico e senza l’ombra di un funzionario tedesco, Hitler venne plebiscitato con oltre il novanta per cento dei consensi. Uno smacco incredibile!
Infine i fascismi si andavano espandendo con una velocità impressionante, come forma di speranza vitale, in tutti gli angoli del mondo (Europa, Asia, America Latina) e minacciavano il colonialismo britannico. Non con le armi ma con lo spirito.
Le democrazie – o meglio le oligarchie – dovevano annientarli perché non erano in grado di sostenere il confronto con i loro esempi e sarebbero state soppiantate, i circoli d’affari speculativi  avrebbero chiuso i battenti.
A tutto ciò si aggiungano un paio di elementi non trascurabili.
Innanzitutto l’odio nutrito dai fanatici religiosi del Vecchio Testamento verso l’affermazione, per essi blasfema, della Weltanschauung wagneriana, della Romanitas e della svolta radicalmente neotestamentaria compiuta dai cristiano-fascisti; un mosaico spirituale che liberava l’uomo dalla soggezione ai chierici vendicativi e ai profeti delle minoranze elette. Prese quindi forma – e lo attestano le carte del Cfr americano già nel 1933 – quel fronte dell’odio che oggi si cerca programmaticamente di riesumare con la riedizione artificiale degli “scontri di civiltà”.
E ci fu infine una questione di “spazi vitali”. Il risveglio tedesco minacciava influenze britanniche nell’Europa centrale e meridionale, quello italiano parimenti, senza contare il fastidio che dava a Londra nel Mediterraneo e persino nell’Oceano Indiano. A questo si aggiungano le mire statuintensi di cogliere ogni occasione possibile per sostituire gli inglesi nel colonialismo mondiale e l’odio anti-europeo da sempre presente e chiaro nell’ideologia americana. E così il quadro è completo.

Settantuno anni dopo

Oggi, a settantuno anni dall’inizio di quell’ecatombe, le oligarchie del Crimine Organizzato hanno messo le mani su tutto, giustificando così alla luce del proprio tornaconto la carneficina che hanno causato e protratto ininterrottamente consumando en passant – uniche nella storia ad averli compiuti – olocausti nucleari, al fosforo e al napalm (che fu sperimentato proprio sugli italiani).
La loro economia grassa e depauperatrice, liberata da ogni controllo nazionale e popolare, si fonda su ruberie e speculazioni frenetiche. Le voci principali di lucro sono tutte grondanti di sangue: petrolio, armi e narcotraffico; quest’ultimo è un “bene” di portata tale che sinceramente non mi raccapezzo come ancora nessuno sembri aver capito quanto strutturale sia del nostro paradiso globale e come ne detti la politica.
Ed è proprio per tenere alti i guadagni della droga e per garantire le partecipazioni ai dividendi che oggi mandiamo i nostri soldati a farsi ammazzare  intorno ai campi di papaveri da oppio, in “missioni di pace” ovviamente. Le guerre non si fanno più . Quelle le dichiarano solo i cattivi, ed ecco perché ci raccontano ancora che quella mondiale l’ha scatenata l’Asse.
Elementare.

* In proposito vedi gli autori, rigorosamente antinazisti, William Shirer “Storia del Terzo Reich”, Einaudi 1959 e Carlo Felice Coppola “Da Danzica a Parigi. La guerra lampo di Adolf Hitler”, Editrice Fiorentino, 1983

 

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