Quelle alternative rischiano di chiudere per mancanza di fondi
In principio fu Solyndra, la società del solare americana travolta dai debiti nonostante l’imponente aiuto economico voluto da Barack Obama in persona. Ora la crisi minaccia di travolgere un intero comparto, quello dell’eolico a stelle e strisce, che potrebbe pagare caro l’addio agli incentivi. L’allarme è stato rilanciato nei giorni scorsi dal Financial Times: gli Stati Uniti in questo momento sono il secondo maggiore mercato mondiale dell’energia eolica (alle spalle della Cina), capaci di attrarre il 28 per cento degli investimenti globali nell’energia del vento.
Circa 12.500 megawatt di capacità saranno installati anche nel 2012 ma, nonostante questi numeri record, il baratro è dietro l’angolo: buona parte della crescita dell’eolico Usa è attribuibile al Ptc (Production tax credit), un vantaggioso credito d’imposta stabilizzato dalla presidenza democratica ma in scadenza a fine d’anno. Il rinnovo di questa formula è al momento estremamente incerto, anche a causa della netta impostazione anti-incentivi alle rinnovabili del candidato repubblicano alla Casa bianca, Mitt Romney. In assenza di proroga il rischio è quello di un vero e proprio crollo dell’eolico a stelle e strisce, con l’addio a 37.000 posti di lavoro nel 2013 e a investimenti per 10 miliardi di dollari. L’incertezza sul futuro e il rallentamento dei nuovi progetti hanno già spinto l’operatore numero tre dell’eolico americano, la tedesca Siemens, a lasciare a casa oltre 600 addetti. Molto legata all’andamento del mercato nordamericano dell’eolico è pure la situazione della danese Vestas, il maggiore produttore mondiale da tempo in crisi di risultati. La regina delle turbine ha infatti presentato conti in rosso in cinque delle sue sei trimestrali da inizio 2011. A inizio settembre è stato così annunciato il taglio di 1.400 posti di lavoro, per risparmiare almeno un centinaio di milioni di euro extra rispetto ai piani originari. Una boccata di ossigeno per Vestas potrebbe arrivare dall’alleanza stretta recentemente con il colosso giapponese Mitsubishi, che potrebbe rilevare una quota del gruppo danese e immettere preziosa liquidità.
Ma i casi di difficoltà nel settore delle rinnovabili non riguardano solo l’eolico ma anche il fotovoltaico: gli operatori del solare pagano la riduzione degli incentivi messa in atto da quasi tutti i governi a livello globale ma, soprattutto, il protrarsi della guerra dei prezzi. La politica low cost avviata dai produttori asiatici negli ultimi anni ha infatti comportato la perdita di quote di mercato e la riduzione dei margini per quasi tutta la filiera industriale occidentale, con vere e proprie crisi per molte aziende. Molto colpita è stata l’industria tedesca: Solon, uno dei principali nomi del solare, è stata prima travolta dei debiti ed è poi stata rilevata lo scorso marzo dal produttore di celle arabo Microsol. Destino simile è toccato al produttore di celle Q.Cells, che a fine agosto è stato acquisito dal gruppo industriale sudcoreano Hanwha. Ancora senza soluzione è invece la situazione di Sovello, una delle aziende leader del fotovoltaico con sede nella Sassonia-Anhalt, che ha sospeso le attività produttive lo scorso 27 agosto perché non era più rimasto – parola del curatore fallimentare – un solo euro in cassa. Turni ridotti, cassa integrazione e gravi difficoltà finanziarie hanno toccato pure tutti i produttori italiani di celle e moduli nell’ultimo biennio. L’industria nazionale, non a caso, è una delle più convinte sostenitrici della causa antidumping che un gruppo di aziende del solare europeo ha promosso nei mesi scorsi contro la concorrenza cinese. L’accusa è di violazione delle norme del Wto con ribassi scriteriati e ingenti sussidi pubblici forniti dalla Repubblica Popolare. Bruxelles ha recentemente dato seguito alla denuncia e potrebbe decidere di istituire dei dazi entro il giugno 2013.
In realtà, però, anche le imprese cinesi non se la passano particolarmente bene, almeno in questa fase: ad esempio Trina Solar, il terzo maggior produttore cinese di celle solari, ha avviato nelle scorse settimane un piano di ristrutturazione, che comprende anche una significativa riduzione del personale. Trina ha riportato nel secondo trimestre 2012 un fatturato di 346,1 milioni di dollari, in calo del 40% rispetto all’anno precedente. Ancora più clamoroso è il caso di Suntech, il più grande produttore di pannelli solari al mondo, che nei giorni scorsi ha annunciato il ricollocamento di 1.500 addetti e il taglio della produzione di celle. L’azienda asiatica accumulerà perdite per un miliardo di yuan nel 2012 (oltre 120 milioni di euro). La politica di bassi prezzi inizia infatti a danneggiare anche le compagnie cinesi, che devono fare i conti pure con una riduzione dei volumi. Sullo sfondo ci sono poi sempre i dazi adottati in Usa lo scorso maggio e la possibile emulazione della Ue. Un’ancora di salvataggio potrebbe arrivare dalla China Development Bank, che ha annunciato di voler rafforzare il sostegno creditizio alle 12 maggiori aziende solari (tra cui Suntech Power, Trina Solar Ltd e Yingli Green Energy Holding) ma, in ogni caso, è evidente che il solare non gode di buone salute neppure in Cina.