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Europa: la trappola dell’allargamento

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Con l’allargamento a 25, l’Europa si fa più grande economicamente ma più piccola politicamente. Al posto di una politica oculata e paziente in vista dell’indipendenza continentale si è preferita la chiassosa fuga in avanti verso una gigantesca zona di libero scambio. In questo modo l’UE si autocondanna all’immobilismo e all’impotenza

Dall’adozione del trattato di Maastricht nel 1992, sembra che l’Europa stia forzando i tempi. Vittima delle lungaggini della burocrazia di Bruxelles, della mancanza di unità di intenti tra i Paesi membri e dell’evanescenza attentamente rispettata sulle sue finalità, preoccupata esclusivamente della concorrenza commerciale e dell’ortodossia finanziaria, si è impegnata inoltre in un processo di allargamento precoce che la condanna alla fine all’impotenza e alla paralisi. Dieci nuovi Stati membri entrano oggi nell’Unione europea. Essi sono stati accettati senza che ci si sia presi la briga di interrogarsi sulle loro capacità di integrazione né sulle frontiere dell’Unione. L’Europa a 25 sarà certo più grande e più popolata (75 milioni di abitanti in più). Avrà per la prima volta frontiere in comune con la Russia. Ma non sarà né più forte né più unita, al contrario sarà debole economicamente e politicamente. Il reddito medio mensile degli abitanti dei nuovi Stati membri è di circa 500 euro, la loro ricchezza per abitante è inferiore alla metà di quella dei Quindici. Ciò significa che dopo l’allargamento, il reddito europeo per abitante si attesterà a un livello più basso e che le disparità tra le regioni e gli Stati si accentueranno. In queste condizioni, i colpi che graveranno l’Unione europea toccheranno immancabilmente alcuni Paesi membri più duramente di altri, proprio quando

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