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EVOLA E NASSER

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“Dal tentativo di ricostruire organicamente la visione evoliana della tradizione islamica è risultato un quadro che, se appare talvolta inesatto in qualche particolare e spesso condizionato da una prospettiva piuttosto personale, costituisce tuttavia, in fin dei conti, una rappresentazione ispirata al riconoscimento evoliano di ciò che è essenzialmente l’Islam: una manifestazione dello spirito tradizionale da cui non può prescindere la “rivolta contro il mondo moderno”.”

Proseguendo una ricerca della quale fornimmo i primi esiti qualche anno fa in un saggio compreso nel nostro Avium voces (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1998, pp. 67-87), sul numero di giugno della rivista informatica “La Nazione Eurasia” (numero speciale per il trentennale della morte di Julius Evola) abbiamo pubblicato un saggio intitolato Evola e l’Islam. Dal tentativo di ricostruire organicamente la visione evoliana della tradizione islamica è risultato un quadro che, se appare talvolta inesatto in qualche particolare e spesso condizionato da una prospettiva piuttosto personale, costituisce tuttavia, in fin dei conti, una rappresentazione ispirata al riconoscimento evoliano di ciò che è essenzialmente l’Islam: una manifestazione dello spirito tradizionale da cui non può prescindere la “rivolta contro il mondo moderno”.


A tale saggio, al quale rinviamo comunque il lettore, si ricollega il presente articolo, che nasce dalla recente riscoperta di un articolo di Evola sull’”emancipazione dell’Islam”, compreso nella raccolta de I testi del Meridiano d’Italia (Edizioni di Ar, Padova 2003, pp. 217-219).


L’articolo risale a un’epoca, gli anni Cinquanta, in cui gli ambienti fascisti italiani mantenevano ancor vivo il ricordo della posizione filoaraba e filoislamica assunta dall’Italia nel corso del Ventennio (1), nonché della solidarietà che negli anni del conflitto mondiale si era instaurata tra le forze dell’Asse e i movimenti indipendentisti del mondo musulmano (2). D’altronde il Manifesto di Verona, al quale continuava a fare riferimento una gran parte dei militanti del fascismo postbellico, aveva indicato tra i punti essenziali della politica estera della RSI il “rispetto assoluto di quei popoli, in specie musulmani che, come l’Egitto, sono già civilmente e razionalmente organizzati”.


E proprio in Egitto, negli anni Cinquanta, la rivoluzione dei Liberi Ufficiali, dopo avere scacciato il regolo fantoccio (sodale del re savoiardo traditore e fuggiasco), proclamato la repubblica, abolito la partitocrazia, avviato un vasto programma di riforme, nazionalizzato il capitale straniero, espulso i Britannici dal Canale di Suez, rifiutato le alleanze militari funzionali al dominio imperialista, concesso asilo ed aiuto agli esuli del Terzo Reich, si impegnava a costruire un socialismo nazionale che, nella prospettiva geopolitica nasseriana dell’unità della Nazione Araba, sarebbe dovuto diventare un vero e proprio socialismo panarabo, basato sui presupposti spirituali forniti dall’Islam. E quando nel 1956, in seguito alla nazionalizzazione del Canale di Suez, l’Egitto dovette far fronte all’aggressione anglo-franco-sionista (3), molti di coloro che avevano combattuto con coscienza di soldati politici contro le “plutocrazie democratiche dell’Occidente” videro nell’Egitto una nuova linea di fronte contro i nemici di sempre e manifestarono la loro solidarietà nei confronti del popolo egiziano e del suo Rais, Gamal Abd el-Nasser (4).


Julius Evola, che all’epoca co

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