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Evviva la resistenza!

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Quell’aprile di sessantaquattro anni fa

In questi giorni di aprile di sessantaquattro anni fa ci fu la Resistenza, ci fu davvero. Era iniziata anche prima, dai tetti di Roma, di Firenze, di Reggio Emilia da cui gli italiani spararono sull’invasore. Era continuata sulla linea gotica, dopo essere stata sacralizzata dal sacrificio dei giovani volontari a Nettuno. Proseguì dopo che le armate che portavano lo strapotere della banca, della mafia, del crimine organizzato in Europa e nelle antiche colonie europee, forti del 71% della produzione industriale mondiale, ebbero sfondato la strenua difesa spartiata. Continuarono a resistere, in particolare a Torino dove le camicie nere di Giuseppe Solaro, colui che aveva scritto “i ribelli siamo noi” tennero la città ancora per giorni prima di essere stroncati in un bagno di sangue. La morte se l’aspettavano; ci si erano fidanzati, come cantavano da tempo ed erano disposti a “morire tutti crocefissi per riscattare un’ora di viltà”. La Resistenza continuava anche più su, nel cuore dell’Europa dove volontari di varie nazioni si strinsero nell’ultimo quadrato e dove un pugno di francesi della Charlemagne, guidati da Henri Fenet riuscirono a inchiodare i russi fino al 2 maggio.

Irrorarono la terra con il sangue e, dopo di loro, fu la volta di tutti coloro che vennero trucidati perché avevano una fede, come aveva giustamente ricordato il generale tedesco Barenfanger prima di morire stroncato nell’ultimo attacco, senz’armi, ai carri armati degli invasori. Un attacco condotto in prima persona, nello stile, nell’etica, nell’insegnamento dell’ “Europa della barbarie”. Quando guidò l’ultima carica, ricordano, che ad un ufficiale della Wehrmacht che gli diceva come fosse impossibile senza armi adeguate fermare i carri armati egli rispose: “ma noi siamo armati, abbiamo una fede!”.

Follia? Non tanto visto che in molti allora scelsero di morire o di darsi la morte perché “la causa nazionale non ha bisogno di uomini, quelli li troverà sempre; ha bisogno di esempi”.

E difatti, sessantaquattro anni dopo, il sangue ha pian piano fertilizzato la terra mentre la gente ne ha sempre più le scatole piene delle celebrazioni retoriche di una “Resistenza” retorica, subalterna e che ha ben poco di cui gloriarsi e, soprattutto, non interessa più nessuno.

Gli altri, invece, quelli che la Resistenza la opposero agli invasori che i loro lacché ebbero l’impudicizia di chimare “liberatori”, sono sempre più amati, ricordati e celebrati da persone di tutte le età e da sempre più giovanissimi.

Aveva ragione Federico Nietzsche: “Scrivi con il sangue e scoprirai che il sangue è spirito”.

Ed è per il sangue delle camicie nere che sventolano ancora alte le nostre bandiere.

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