A lume spento
Fu senza dubbio una delle personalità più controverse del Novecento, capace di toccare le vette sublimi della poesia ma nel contempo di esaltare Fascismo e nazismo. Ma aldilà di ogni considerazione poetica o politica, Ezra Pound fu un grande amante dell’Italia e di Venezia, città nella quale – da giovane – pubblicò a proprie spese il suo primo libro di poesie, e dove scelse di trascorrere i suoi ultimi anni di vita. Considerato uno dei motori trainanti, con Thomas Stearns Eliot, del modernismo Ezra Weston Loomis Pound nacque il 30 ottobre 1885 in una famiglia mediamente agiata di Hailey, nell’Idaho, e crebbe a Filadelfia, dove compì i suoi studi superiori e universitari e dove conobbe e frequentò un giro di giovani letterati (come William Carlos Williams e Hílda Doolittle, con la quale ebbe una storia giovanile) destinati come lui a votarsi alla poesia; già da adolescente non nascose mai la sua aspirazione a diventare un poeta. Visitò una prima volta l’Europa tredicenne, nel 1898, assieme a una prozia, e fu una folgorazione. Dopo la specializzazione in filologia romanza e una breve parentesi dedicata all’insegnamento, lasciò gli Stati Uniti nel 1908 per approdare dapprima a Gibilterra e successivamente a Venezia.
In laguna pubblicò il suo primo libro di poesie, A lume spento, il cui titolo (in italiano anche nell’originale) è tratto da un verso del Purgatorio di Dante. Alla fine di quello stesso anno si trasferì a Londra, e vi rimase per dodici anni. Tornò in Italia nel 1924, e fu un acceso sostenitore di Benito Mussolini, non mancando successivamente di esprimere un’ammirazione smaccata anche per Adolf Hitler, ai quali non mancò di offrire suggerimenti per la gestione politica ed economica. Scrisse lettere e articoli dichiaratamente antisemiti. Sostenne il regime fascista fino alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, e catturato dai partigiani fu consegnato all’esercito statunitense, che lo sottopose a una prigionia durissima a Pisa prima di tradurlo in America perché fosse processato per tradimento.
Fu dichiarato infermo di mente dopo una diagnosi molto contestata, che gli risparmiò una possibile condanna a morte ma non la detenzione nell’ospedale psichiatrico criminale federale St. Elizabeths di Washington, dove trascorse dodici anni nei quali non smise mai di occuparsi dei temi molto ricorrenti nella sua poetica: la nostalgia del passato, la fusione tra culture diverse e il tema dell’usura. Alla fine, anche su pressione di diversi intellettuali (non ultimo il combattente antifascista Ernest Hemingway) fu dichiarato incurabile ma non pericoloso. Era il 1958, e a settantatré anni Ezra Pound fu libero di lasciare gli Stati Uniti e di trasferirsi in Italia. Trascorse gli anni italiani – da un certo momento in poi a Venezia – ritrattando diverse delle sue tesi (in primis quelle antisemite). Accanto a lui la violinista Olga Rudge (che gli aveva dato una figlia pur avendo Pound una moglie “ufficiale”, Dorothy Shakespear, e un altro figlio). Morì a Venezia il primo novembre 1972, il giorno successivo al suo ottantasettesimo compleanno. Fu sepolto nel settore ortodosso del cimitero di San Michele in Isola, dove riposa ancora con accanto Olga Rudge, che gli sopravvisse per ventiquattro anni. Ezra Pound ha scritto una poesia su Venezia che è una delle più forti del Novecento, Venetian Night Litany. Cantando lo splendore della città, Pound si chiede: cosa abbiamo fatto, o Dio, di così grande in passato per cui oggi ci dai questa ricompensa oppure quale orrore ci aspetta in futuro così da avere oggi questa consolazione previa? La poesia inizia proprio con una invocazione e una domanda: “O Dieu, purifiez nos coeurs! Purifiez nos coeurs! Oh sì, la mia strada hai segnato in piacevoli luoghi e la bellezza di questa tua Venezia m’hai rivelata che la sua grazia è divenuta in me una cosa di lacrime. O Dio, quale grande gesto di bontà abbiamo fatto in passato, e dimenticato, che tu ci doni questa meraviglia, o Dio delle acque? O Dio della notte, quale grande dolore viene verso di noi, che tu ce ne compensi così prima del tempo?”.