Tutte le proteste minuto per minuto. E i luoghi di ritrovo. E le marce da organizzare. E i flash mob, le manifestazioni a sorpresa qua e là lungo il Muro o nei Territori. E poi gli articoli contro l’occupazione, le immagini dei martir» palestinesi, i video degli addestramenti militari, le canzoni e le immagini del nazionalismo arabo… Uno spettro s’aggira per il web: la Terza Intifada. Tre mesi fa, Facebook ha aperto (e subito chiuso) una pagina che esortava alle rivolte in kefiah, 330 mila contatti. Ora, è toccato al gigante Apple intervenire e sopprimere al più presto un’applicazione in arabo scaricabile gratis nello store iTunes, The Third Intifada, che ripeteva pari pari gli stessi temi. E che andava subito rimossa, ha protestato ufficialmente il governo israeliano, perché rappresentava uno strumento d’incitazione alla violenza e diffondeva chiaramente contenuti anti-israeliani e anti-sionisti.
Come già aveva fatto con Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook che la scorsa settimana è stato nominato dal Jerusalem Post l’ebreo più influente del mondo 2011, il ministro israeliano per l’Informazione, Yuli-Yoel Edelstein, martedì s’è messo al pc e ha scritto una lettera aperta anche a Steve Jobs: “Credo che lei sia consapevole che applicazioni di questo tipo, che uniscono molti contro uno, hanno un potenziale disastroso”. Alla protesta s’è unito il viceministro degli Esteri, Danny Ayalon, in un’intervista alla radio militare: “Apple e Facebook rappresentano un nuovo modello per chi tenta di provocare attacchi violenti a uno Stato, i nuovi media devono prendersi questa responsabilità”. Parole simili dal generale Ben Reuven, che mesi fa ha istituito una speciale task-force dell’esercito per monitorare le provocazioni via internet: “Facebook è la piazza per chiamare la gente. Poi arriva chi consegna le armi vere…” (il riferimento era ai disordini di maggio lungo le frontiere con Libano e Siria: decine di morti fra i palestinesi dei campi profughi, sponsorizzati da Hezbollah e dal regime di Damasco, che avevano accolto il tamtam su internet a marciare verso i confini, distribuendo volantini inneggianti proprio a The Third Intifada e costringendo le guardie israeliane a sparare). Nell’anno delle rivolte sui social network, Jobs – nato in una famiglia d’origine siriana – ha capito subito i rischi reali di questi appelli alla Terza Intifada. E s’è mosso di persona, buttando via l’Apple della discordia: un conto, è usare questo strumento in regimi dittatoriali per organizzare legittime proteste democratiche; un altro, è rivolgerlo contro un governo democraticamente eletto, per fare apologie del terrore. “L’applicazione su iTunes – chiude la questione un comunicato della società – viola le nostre linee guida, che s’oppongono all’offesa di grandi gruppi di persone”.
“The Third Intifada”, applicazione scaricabile dal 15 giugno, mercoledì sera è stata completamente disattivata. Tra l’altro, al quartier generale di Apple hanno scoperto che era stata messa a punto da una società di Dubai, la stessa che aveva già creato la pagina su Facebook. Da Gerusalemme, è un coro d’elogi: “Azione rapida”, ringrazia Edelstein, “la dimostrazione che si condivide la lotta alla violenza e al terrorismo, un passo importante nel prevenire questi incitamenti attraverso i nuovi media”. Ma qualcuno ha consumato anche una piccola vendetta, usando la satira. Per sfottere Jobs, una produzione israeliana ha messo in circolazione su YouTube la videocommedia d’una tranquilla famigliola che decide d’adottare iBoy, un ragazzino con la faccia a forma di iPad. Il nuovo arrivato è orribile, ma riesce talmente a rincretinire i genitori da spingerli a preferire il figliolo touch screen a quello vero, in carne e ossa: una metafora del nuovo oppio dei popoli?
Una serie di mistificazioni.
Innanzitutto con questa buffonata si dà credito a quell’altra buffonata delle rivolte arabe “nate su facebook”. Poi si lascia credere che esista tra i big della comunicazione un cruccio e un’attenzione a salvaguardare le libertà d’impressione.
E alla fin fine emerge solo e soltanto la censura, la propaganda della censura e il solito monitoraggio discriminante e poliziesco.
