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“Fahrenheit 9/11”: una mezza verità

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Il discusso film di Michael moore ha l’indubbio merito di portare sullo schermo crimini e bugie di un’amministrazione cinica e corrotta. E tuttavia non c’entra del tutto il bersaglio: perché presentare il governo Bush come un’eccezione nella storia americana? Perché parlare solo del petrolio e non del traffico di droga? Perché ignorare il peso della lobby sionista? Perché illudersi che Kerry potrà cambiare qualcosa? Caro Michael, ci sei piaciuto solo a metà!

Fahrenheit 9/11, il discusso film di Michael Moore, Palma d’Oro al Festival cinematografico di Cannes, è sicuramente un’opera meritevole e degna d’attenzione, pur non centrando completamente il bersaglio. Certo, l’effetto visivo rafforza notevolmente, rispetto al contributo offerto dalla carta stampata (numerosi sono infatti gli ottimi libri su questi argomenti), l’impressione che oltreoceano ci prendano in giro.
Dalle manipolazioni elettorali che hanno portato Bush Jr. alla Presidenza, alle pratiche di reclutamento per l’esercito statunitense in Iraq, all’attenzione riservata alle vittime dell’ultima guerra nordamericana, ai legami tra la famiglia Bush e quella di Bin Laden che gettano un’inquietante ombra sugli attentati dell’11 settembre 2001. Crimini e bugie che conosciamo da tempo (secolari sono ormai i rapporti tra petrolieri statunitensi e sauditi) e che Michael Moore ha il coraggio di portare sullo schermo, nonostante l’opposizione delle potenti lobbies delle armi e del petrolio, una per tutte l’ineffabile Halliburton, regina degli appalti nella ricostruzione dell’Iraq.
Ciò che non ci convince, nonostante l’indubbio talento di Moore (indimenticabile rimarrà la faccia inebetita di Bush dopo la notizia dell’attacco alle Torri Gemelle) e la sua capacità di suscitare forti emozioni, è la parzialità di questa rappresentazione. Nel film tutto o quasi viene fatto ricadere sulle spalle dell’Amministrazione Bush, certo una delle più corrotte della storia, ma, presentandola quasi fosse una “parentesi” della storia statunitense, il regista newyorkese sembra volersi scaricare la coscienza e assolvere così dalle loro responsabilità tutti i precedenti governi. Solo per rimanere in tema Iraq, viene completamente eluso il ruolo di Clinton e soci nell’embargo genocida che provocò un milione e mezzo di vittime (700.000 bambini secondo i dati Unicef) e nei bombardamenti su Baghdad del 1998.
Soprattutto per l’ultima guerra Moore indica una giustificazione che condividiamo parzialmente: il solito petrolio, la solita speculazione bellica. Perciò non viene sottolineata l’importanza delle lobbies sioniste nel convincere l’Amministrazione Bush a scendere in guerra; invece, come testimoniato anche da un giornalista liberale quale Alberto Pasolini Zanelli (tanto filoamericano da vivere quasi stabilmente a Washington), tutti i mesi precedenti l’invasione dell’Iraq hanno visto scendere prepotentemente in campo i sostenitori a stelle strisce dello Stato di Israele, i cui maggiori esponenti si trovano paradossalmente nel campo dei fondamentalisti evangelici (i cd. “cristiano-sionisti”). Oppure non si parla affatto delle motivazioni geopolitiche degli attacchi all’Afghanistan e all’Iraq (riguardo al primo l’oleodotto dell’Unocal rifiutato dai Talebani è una motivazione secondaria rispetto al controllo del traffico di droga, peraltro le trattative le iniziò l’Amministrazione Clinton), l’accerchiamento strategico di Cina e Russia potenze rivali nel dominio dell’Eurasia (l’Heartland di hackinderiana memoria).
Delle persecuzioni attuate grazie alla legislazione antiterroristica del “Patriot Act” (centinaia di arabi, sudasiatici e musulmani scaraventati in detenzione segreta dopo l’11 settembre 2001) ci viene mostrato solo il fermo di Barry Reingold, ex agente dell’FBI critico verso Bush, poi rilasciato.
Ecco perché il film contiene solo una mezza verità e coincide con l’obiettivo di cacciare Bush Jr. dalla Presidenza degli Stati Uniti; d’altronde l’inquilino della Casa Bianca è ormai ritenuto pericoloso, a causa della sua faciloneria e inadeguatezza, dagli stessi padroni dell’alta finanza come George Soros.
Se “Fahrenheit 9/11” rende giustizia a tante fandonie propinateci dall’opinione pubblica, non vuole o non può dirci tutto: che gli Stati Uniti e l’imperialismo multinazionale, che li sostiene ormai da due secoli, mirano al dominio del mondo e non sarà un

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