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Fine di un popolo

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Sr questi sono i segnali…

Criminali sono i politici e gli “educatori”, delinquenti i genitori che non sono in grado di essere uomini e donne. Sicché i minori sono destinati a vivere e morire sempre peggio. Fine di un ciclo, già esaurito da tempo!

 

C’è un dato, emerso nei giorni scorsi, che descrive in tutta la sua gravità l’emergenza emotiva ed anche il disagio relazionale che coinvolge preadolescenza e adolescenza e anche i bambini.
Il dato più drammatico è il numero impressionante e in crescita dei suicidi o dei tentativi di suicidio. Il quotidiano La Stampa ha riportato il grido d’allarme dei neuropsichiatri infantili torinesi che, nelle linee Guida della Società di Neuropsichiatria per emergenza-urgenza psichiatrica- certificano un aumento del 30% degli accessi al Pronto Soccorso tra i minori tra i 10 e i 17 anni.
Il reparto di neuropsichiatria infantile dell’ospedale Regina Margherita di Torino ha visto passare i ricoveri per tentato suicidio da 7 nel 2009 a 35 nel 2020. Sempre nello stesso lasso di tempo, nel Day hospital psichiatrico, l’ “ideazione suicidaria”, e cioè Il pensare, considerare o pianificare il suicidio, è passata dal 10% all’80%.

Oltre a questo dato estremo, che si spinge a rifiutare la vita, dobbiamo segnalare anche le risse che si stanno scatenando tra gruppi di giovanissimi nelle grandi città italiane e che servono a operare “giustizie sommarie” per piccoli fatti che si potrebbero risolvere civilmente e con le parole e, invece, diventano l’occasione per dare sfogo a una rabbia ferina tra bande che affonda le radici in un disagio profondo e oscuro.
Numeri ed episodi inquietanti che ci interrogano sulle ansie, la depressione, la confusione emotiva di questi ragazzi e su quello che gli adulti possono e devono fare per aiutarli a vivere le difficoltà, a sviluppare la propria empatia e un senso di sé, a sentire la loro importanza nel mondo e che esiste un futuro, pieno di opportunità, che merita di essere vissuto.
Il comportamento suicidario o violento è influenzato da più fattori: dalla presenza di disturbi psicologici, dalla storia familiare, da elementi psicosociali e ambientali, dall’aumento dell’uso di droghe (di cui peraltro si parla sempre meno) ma oggi, purtroppo, ci sono anche altri fattori di rischio derivanti dai tempi del Covid.
Penso alla mancanza di relazioni, di legami e a un diffuso analfabetismo emotivo, frutto dell’interazione con l’ambiente familiare, scolastico e sociale, poco solida e vacillante tra mille paure e insicurezze esistenziali. Ma c’è anche un’intensa aspettativa da parte dei genitori e della società che sembra giudicarli in base al presunto successo, scolastico o sportivo; una pressione che conduce alla paura costante di non essere in grado di soddisfare le aspettative e a cercare altre forme di affermazione di sé.
Tutti questi elementi, oggi esacerbati dall’emergenza Covid-19, ha creato un ulteriore vuoto nelle relazioni; ha determinato la mancanza degli abituali punti di riferimento, a partire dalla scuola; ha ulteriormente indebolito il sistema delle regole; ha prodotto la chiusura dentro i mondi virtuali che tanto possono fare male se non mediati o utilizzati in modo consapevole, generando paura e incertezza per un futuro che sembra sempre più scuro.

Una situazione di disagio che va al di là della chiusura forzata e della mancanza della vita di classe e che si innesta in una fase della vita dove ancora non si ha un’emotività “strutturata” ed è assai complesso, certamente impossibile per i bambini, provare a dare risposte alle domande sulla vita, alle paure ancestrali, all’instabilità e alle incertezze.
Per questo diventa sempre più evidente l’incapacità di comprendere la portata delle proprie azioni e di proiettarsi su una linea temporale, mentale ed evolutiva verso il domani, consapevoli delle conseguenze dei propri gesti. Da qui deriva la difficoltà nel costruire e dare senso al futuro o a riempire la normalità di significato che non deve coincidere con la competizione, il consumo, la frenesia della vita quotidiana, l’eccesso del fare, l’incapacità di riflettere e la consapevolezza che per ogni azione c’è una reazione.
Su questo dobbiamo interrogarci, come educatori, come genitori, come insegnanti, come adulti per capire se il nuovo modello di vita imposto ai nostri ragazzi, nella maggior parte dei casi, ricco di opportunità, attività, incontri, nuove tecnologie, aspettative frenetiche, sia il migliore per garantire il loro benessere psicofisico e una crescita realmente equilibrata.
A ciò si aggiunga l’urgenza di capire quanto il virus abbia acuito il senso di precarietà su un equilibrio già fragile precedentemente alle restrizioni della pandemia.
In questo senso, sono convinta che molti di loro andranno sostenuti e aiutati, anche in ambiente scolastico, attraverso il confronto con pedagogisti, educatori o psicologi che, con colloqui o attività di gruppo, possano sciogliere gli enormi  vuoti che esistono nelle vite di molti di loro. Si tratta di un evidente fatto psicologico e sociale che dobbiamo affrontare perché agisce su un’intera generazione che sarà quella del post pandemia.
Senza il senso del domani, della programmazione, della vita che scorre, della complessità, delle regole, per i ragazzi sarà difficile tenere viva l’indispensabile “ansia del domani”, la capacità di guardare al futuro con entusiasmo e curiosità e la possibilità di diventare cittadini consapevoli. Elementi determinanti nella crescita e nella formazione verso l’età adulta.
Bisognerà soprattutto coltivare un lavoro di cura che coinvolga tutte le agenzie educative per restituire a una generazione il senso del domani e il coraggio di guardare al futuro con questa cura di sé e del mondo, invece di paura, rabbia e violenza, verso gli altri e verso se stessi.

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