Scholz amico o nemico?
Olaf Scholz si è insediato alla Cancelleria federale di Berlino ed è intenzionato a continuare la tradizione dell’Europa tedesca. Il successore di Angela Merkel riadatterà, plasmerà sulla scia dei cambiamenti previsti nei Trattati, conformerà all’era del post-pandemia la partita di Berlino per la centralità nell’Europa ma non devierà da un obiettivo di fondo seguito dal Paese dai tempi della riunificazione. E che riguarderà anche l’Italia.
Roma sarà centrale nelle strategie del governo “semaforo” formato dai socialdemocratici della Spd, dai Liberali e dai Verdi e nella sua scommessa per cambiare le basi della governance dell’Unione Europea. Strategie che seguono col pilota automatico quanto impostato nel quarto e ultimo governo Merkel in cui Scholz era Ministro delle Finanze.A lle ultime elezioni, del resto, come ha detto l’ambasciatore tedesco in Italia Viktor Elbing a IlGiornale.it, si è vista una grande convergenza al centro: “in questo centro” che somma ai suoi tradizionali membri (Cdu e Liberali) la versione pragmatica dei socialdemocratici e quella liberal-progressista dei Verdi, “abbiamo praticamente l’85% dei voti. In questo centro si trovano politiche europeiste e transatlantiche e la condivisione sui temi centrali della politica: e sono condivise dall’85 per cento degli elettori. Un elemento di stabilità molto forte e di continuità”.
Su questo blocco bisogna puntare l’attenzione per capire come Scholz intenda definire l’ago della bilancia nei confronti dell’Italia. Paese al tempo stesso visto come partner strategico chiave e fonte primaria d’attenzione nel quadro della revisione strategica dell’Europa fiscale.
La garanzia del debito comune che anche i Liberali hanno accettato e la revisione del Patto di Stabilità a cui Berlino ha aperto vanno sicuramente nella direzione auspicata dall’esecutivo italiano di Mario Draghi per l’Unione Europea. E consolidano il principale elemento di continuità tra Berlino e Roma destinato a trasmettersi dall’era Merkel all’era Scholz: l’impegno anti-ciclico sulla risposta alla crisi continentale e sullo stop alle politiche di austerità che, soprattutto da parte germanica, hanno depotenziato la ripresa italiana dopo la crisi dei debiti del 2010-2012.
Tuttavia, questo non va confuso con l’idea che Berlino sia pronta a aprire ponti d’oro all’Italia. Stupisce infatti che dopo mesi in cui si è parlato di una ritrovata centralità italiana nel Vecchio Continente (o addirittura a livello globale), di un rilancio delle prospettive del Paese e di dinamiche in continua evoluzione il governo Draghi non si sia inserito in piene e attive conversazioni con il nuovo esecutivo tedesco sulla partita più importante. Da cui dipende buona parte del nostro destino economico post-pandemico, una volta che la finestra della risposta emergenziale si sarà chiusa. “Se all’inizio del secolo nell’Eurozona quasi un euro su cinque veniva prodotto dall’Italia, adesso stiamo arrivando a un euro su sette”, ha dichiarato a Il Sussidiario l’economista Gustavo Piga. “È sconcertante che nessuno si renda conto che questo declino che pare inarrestabile è dovuto anche all’aver governato per vent’anni questo Paese con le politiche economiche sbagliate”, quelle rigoriste sbugiardate dalla storia che hanno visto regole astruse franare di fronte alla realtà, vere politiche di sviluppo possibili solo fuori dai vincoli del rigore, Paesi come la Germania accorgersi per tempo degli errori rovinosi fatti in passato allo scoppio della pandemia.
Il fatto che Scholz sia andato a parlare con Emmanuel Macron, senza coinvolgere Draghi, del futuro assetto da dare alla riforma del Patto di Stabilità dovrebbe suonare come un campanello d’allarme e invitare Roma a giocare le sue carte in un 2022 in cui la presenza del voto presidenziale francese e di un governo tedesco in via di rodaggio offre all’Italia spazi negoziali. Per Piga, l’Italia dovrebbe chiedere al duo Parigi-Berlino, e specificamente alla Germania, di ottenere crescente autorità sul bilancio: “lasciare fare agli italiani quello che ritengono utile per loro, con oneri e onori, nel senso che il nostro Paese dovrà poi, esattamente com’era nel disegno iniziale dell’Europa dell’euro, convincere i mercati che metterà a buon uso le risorse rese disponibili”, utilizzando Next Generation Eu come banco di prova. Proprio perché più accomodante in partenza, il governo Scholz, in cui i Liberali con il leader Christian Lindner controllano le Finanze, potrebbe essere negli anni a venire il più rigido contro Roma qualora ritenesse che l’Italia abbia deviato dal percorso concordato. E quindi risulta assai conveniente per l’Italia giocare d’anticipo.
Del resto Berlino è stato e resta il nostro maggiore partner commerciale, e dunque trovare un modus vivendi Italia-Germania appare ora più che mai vitale. La Germania registra verso Roma un surplus di oltre 10 miliardi di euro (75,1 miliardi di euro di export a fronte di 64,5 miliardi di importazioni), ma al tempo stesso garantisce con la sua industria il lavoro di importanti filiere produttive nazionali. Per Berlino ricostruire l’economia europea significa, in primis, tutelare il retroterra industriale italiano; per Roma, invece, questa fase deve aprire alla concessione di maggiori spazi di autonomia dopo la pandemia. Il momento è propizio perché in tutta Europa i rivali numero uno dell’Italia, i falchi rigoristi, vivono la loro ora più problematica sul fronte politico e sono privi di alcuna copertura da parte tedesca. Ma questa finestra di opportunità non durerà per sempre. A Roma onore e onere di dimostrarsi politicamente attiva e sfruttare le sponde che il nuovo governo tedesco può offrire. Nella consapevolezza che proprio dal duo Scholz-Lindner potrebbe arrivare, in futuro, un ben più problematico irrigidimento.